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    Lo sterminio dimenticato…

    Il gatto randagio di questa settimana… Cercando, fra gli appunti, ha ritrovato questi versi. “…Se fossi nata cinquant’anni prima / sarei la milionesima vittima: / anch’io sarei un mucchio di cenere / nella totale indifferenza, /  tranne qualche rara ricorrenza. //Sarei stata nel lager nazista / in attesa di essere gassata / come una bestia macellata. / O insieme ad altri portata, come una mandria,/ in una stanza a sentire l’aria portarmi via / insieme alla vita mia. // Tutto questo sarebbe successo / perché parlo in modo sconnesso, / cammino con grande fatica,/ e la mia testa è un po’ caotica / e spesso sembro sclerotica. //  Vorrei conoscere il mondo / ma questo mondo non mi piace / e non mi dà pace / tutto l’orrore del mondo”.

    L’autrice si chiama Nicoletta, ora avrà finito l’Università, ma aveva quattordici anni quando ha composto queste parole. Per la prima volta, ad una conferenza, Nicoletta sentiva parlare dello sterminio dei disabili nella Germania nazista e (…) ne fu sconvolta. Ancora lo ricorda Giovanna Cantoni, che è stata Ispettore del Ministero della Pubblica Istruzione e aveva tenuto quella conferenza, lei che molto si è occupata fra l’altro dei bambini disabili… Per alcuni giorni, mi ha raccontato, Nicoletta che era ragazzina così “chiacchierina” restò muta. “Io non pensavo…” le uniche parole mormorate, tornando a casa, quella sera. E poi più nulla.

    Già perché se noi, presunti non disabili, non ebrei, non omosessuali, sotto sotto pensiamo sempre che la cosa riguardi altri, lei sì che si è sentita vittima possibile… “solo perché parlo un po’ sconnessa”. In questa breve frase, tutto l’orrore, la perdita di senso… ah, i ragazzini!… e sono le loro parole che voglio ripescare, alla vigilia della Giornata della Memoria, in cui ritorna il ricordo della Shoa. Per ricordare, con loro, uno sterminio di cui raramente si parla. Quello delle persone disabili. L’“Operazione T4”. Fu il progetto di eliminazione sistematica di malati di mente, portatori di handicap, persone affette da malattie genetiche… insomma ‘vite indegne di essere vissute’, un’operazione definita eufemisticamente di “eutanasia” che può essere ben letta come preludio dello sterminio degli Ebrei, perché “risolse” il principale problema delle gerarchie naziste: come uccidere in fretta il maggior numero di persone possibile.

    I disabili, vittime dimenticate… come gli omosessuali, i testimoni di Geova, come i rom.

    Che tornano invece ancora nelle poesie di alunni disabili raccolte negli anni da Giovanna Cantoni, nel suo correre infaticabile su e giù per le scuole d’Italia.

    Sentite quest’altro ragazzino, si chiama Emilio, si chiamava Emilio… Aveva dedicato i suoi versi al suo “fantastico amico”, Luigi, un ragazzino rom, che “ / spinge la mia carrozzella per andare in classe; / mi fa salire le scale / e a volte a guardare dal davanzale: / è le mie braccia e le mie gambe. //Studia con me / e dice: “sono aiutato da te” ….”. E molto Emilio si era interessato alla storia del suo popolo. “ I Rom non hanno una terra / e non hanno mai fatto la guerra, / non hanno sfruttato nessuno / hanno sofferto emarginazione e digiuno.//Nel giorno della memoria, / quando si profonde l’oratoria, / dei Rom tutti si dimenticano / che migliaia ne ha uccisi il lager nazista / e gassati la furia razzista. / Nessun Rom ucciso ha un nome scritto in un libro, / a nessuno di loro è stato dedicato un monumento / quasi fosse un comandamento / dei Rom l’esistenza dimenticare / e ad altre cose pensare…”. Tanto che neanche il professore a scuola, parlando della Shoah, si ricordò di loro. Immaginate la delusione, quel giorno a scuola, per i due amichetti che quella storia invece avevano studiato e si aspettavano per un giorno, almeno, che si parlasse finalmente di loro, finalmente un riconoscimento…  per loro ( uno zingaro e un disabile!) così spesso lasciati in disparte dagli altri compagni.

    Ma Emilio non si trattiene: “Ho detto: “prof dei Rom ti sei dimenticato”. // “Che cosa c’entrano? / Degli Ebrei dobbiamo parlare, / degli Ebrei è l’olocausto”. //Non ho risposto/ il capo ho nascosto /per la vergogna, / mi sentivo veramente alla gogna / per non essere andato fino in fondo / “scusami, amico, tu sei il mio mondo./ Per viltà non ti ho difeso / spero di non averti offeso”.

    Emilio e Luigi… C’è da dire che il professore poi si è scusato dell’imbarazzo creato in Emilio, giustificandosi, in qualche modo appellandosi alle indicazioni ministeriali…  

    Emilio adesso non c’è più, ma a Giovanna Cantoni piace ricordare che il padre di Emilio, che era assessore del comune in cui abitavano, dopo quell’episodio organizzò un convegno sullo sterminio dei rom, ed  Emilio e Luigi erano tutti e due lì, ad ascoltare, attentissimi, in prima fila.

    Un’immagine che rivedo dolcissima, a ricordarci che l’esclusione, l’eliminazione del debole, del disabile, del diverso… è cosa che affonda le radici nella nostra storia lontana, nasce da una memoria rimasta nel nostro profondo, e la civiltà di cui tanto ci vantiamo non fa ancora sufficiente argine a questo che è ancora nostro rischio contemporaneo. Basta il sussulto di una crisi economica… un accesso di paura… bastano, rubando un verso a Emilio, ‘altre cose a cui pensare’…

     

     

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