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    briganti, terroristi e “capuzzelle”

    Riprendendo, come ogni lunedì, dagli appunti di Gatto Randagio ( dal sito di RemoContro)…

    La notizia è che bisognerà attendere ancora un anno e mezzo per liberare dal ‘museo degli orrori’  Giuseppe Villella. Non so se questo nome vi dice qualcosa… ma Villella è passato alla storia come “famoso brigante”. Ma, soprattutto, il suo cadavere fu il primo che Lombroso esaminò per i suoi esperimenti, e sul quale fece la “sensazionale scoperta” della fossetta occipitale mediana, di un cervelletto a tre lobi e non due, che sarebbe stata la prova “dell’atavismo criminale”. Nasceva così la teoria della predisposizione biologica al crimine…

    Quel che resta del povero Villella, come di tanti altri malcapitati, è esposto sotto il vetro delle bacheche del museo Lombroso a Torino, che appartiene all’Università, e intorno a quelle spoglie si sta combattendo una vera battaglia. Quei resti hanno un nome e un cognome, la terra d’origine li reclama, e chiede che abbiano degna sepoltura.(…) A onor di cronaca intorno ai poveri resti ho saputo di un’altra scaramuccia che si è aperta con un’antropologa che contesterebbe il fatto che proprio brigante ed eroe Villella sia stato, quanto piuttosto povero pastore… Ma, a prescindere, come direbbe il nostro Totò, rimane una battaglia che va avanti. E mi unisco a coloro che pensano che di battaglia di civiltà si tratti. Rispetto, insomma,  per quel che resta di noi…  

    Due anni fa, dunque, una sentenza del Tribunale di Lamezia Terme, stabiliva con un’ordinanza la restituzione, da parte dell’Università, delle spoglie di Giuseppe Villella al suo paese natale, Motta Santa Lucia, vicino a Catanzaro. Lo scorso anno, poi, la Corte d’Appello ha accolto il ricorso del Museo Lombroso… Quindi ricomincia l’attesa, ora che l’appello è stato rinviato al 2016.

    Ma questa vicenda è solo una pagina di una lunga battaglia, per la chiusura del museo. Con i suoi 900 e più  crani, scheletri, cervelli e maschere in cera, nato dalla collezione privata allestita da Cesare Lombroso con i ‘resperti’ dei suoi studi su persone considerate criminali, su malati di mente, su omosessuali, su prostitute… Per dimostrare che misure di parti del cranio e del corpo influenzano comportamenti…

    Che fate? Avete interrotto la lettura per andare a osservarvi allo specchio? Lasciamo stare…

    In attesa che Villella vinca la sua battaglia e finalmente riposi in pace, come d’altra parte è già accaduto ad esempio all’anarchico Passannante (partito da Torino, per il museo criminologico di Roma, e infine riaccolto in patria nella cappella di famiglia a Salvia di Lucania)… un pensiero che un po’ mi frulla inquieto in testa, dopo che mi sono balzate sotto gli occhi, e ho messo a confronto, immagini lontane fra loro nel tempo, ma terribilmente simili nella macabra esposizione di corpi.  Ecco, guardate questi tristi ‘reperti’ in fila, in una bacheca del museo Lombroso…

    E pensate all’esposizione delle teste delle persone vittime dell’orrore di questi ultimi tempi…  Altre  storie, altri percorsi, altri significati, stesso allestimento…

    Perdonatemi, ma dal punto di vista dello spregio della dignità dell’uomo, qual è la differenza? Ognuno per il suo scopo… dimostrazione dell’esistenza di razze dannate da un lato, monito ai nemici l’altra? No saprei dire. Ma rimane l’ostentata indecente esibizione di cadaveri d’uomini. E chissà se fa più male quella partorita dalle pulsioni sanguinarie di guerre, o quella nata dalla ragione e dal ‘progresso’…

    Bèh, lasciandovi a questo angoscioso dubbio, vorrei un po’ rasserenarvi, indicandovi un luogo, dove pure teschi si conservano, ma dove è invece possibile respirare un po’ d’umanità. Lo troverete salendo salendo, fino al cuore del rione Sanità, a Napoli. Nell’antico ossario delle Fontanelle, dove c’è un’infinità di teschi e ossa di gente senza nome, come le vittime delle grandi pestilenze, ad esempio… Teschi e ossa messi tutti in ordine, con cura, un teschio sopra l’altro, ossa sopra altre ossa, dentro un’enorme cava. Ma non c’è tristezza. A cominciare da quel tenero “le capuzzelle”, con cui il custode che vi accompagna accenna ai teschi. Ai quali la città ha donato attenzione, affetto e persino identità.  Già, perché è successo che a dare un’identità ai morti sono stati i vivi, i napoletani, che molte di queste “capuzzelle” hanno nel tempo adottato. Dandovi un nome e un cognome, raccogliendole a volte in piccole teche, davanti alle quali portare fiori… E’ successo, spiegano, a volte per grazia ricevuta, a volte anche solo per pietà. O per avere qualcuno per cui piangere e pregare, se ancora non lo si ha. Qualcuno, perché no?, al quale poter chiedere di intercedere presso qualche santo potente del mondo che sta di là. Che non si sa mai…  Intanto queste “capuzzelle”, guardatele bene, sembrano gradire, e regalare l’illusione che certo, un giorno, chissà,  ricambieranno… Ah!, questi fantasmi…

     

     

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