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    La stretta di mano e il cioccolatino

    Qualche giorno fa mi è arrivato un libro. “La stretta di mano e il cioccolatino”. Me lo aveva annunciato Pietro Tartamella, che ne è il curatore. Pietro Tartamella… che qualche anno fa avevo cercato per raccontare alla radio la storia, che tanto mi aveva incuriosito, della sua Cascina Macondo, affascinata dall’immagine che ne è il simbolo: un bel veliero, che ha le vele di foglie e naviga su un mare di sassi e foglie, sospinto da un vento lieve che sempre spinge a viaggiare, per ritrovare il filo delle parole… e sempre intorno alle parole girano le mille attività della Cascina. Come il progetto europeo Parol, di cui “La stretta di mano e il cioccolatino” narra, e che ha coinvolto, fra Belgio, Italia, Polonia, Serbia, Grecia, dodici prigioni con circa 200 detenuti, impegnati in percorsi didattici, laboratori creativi, e tante altre iniziative. Ed è come un fiume, lo scorrere di queste pagine  (…) che dalla copertina si annunciano come un’antologia di diari, riflessioni, racconti, poesie, haiku, cut-up. Il racconto dei mille giorni di un progetto nato per portare scrittura ed arti nelle carceri. O forse meglio, per portarne fuori scrittura e arti. Molto coerente con l’impegno di Pietro e della moglie Anna e di tutti i collaboratori coinvolti nel lavoro di Cascina Macondo. Che è “semplicemente”, mi spiegò un giorno Pietro, tirare fuori il bello che è già dentro ciascuno.

    Il libro è tutto tessuto delle parole “sbocciate” negli incontri. Racconti, poesie, riflessioni. Spesso stupefacenti, che mai avreste immaginato. Perché al carcere e a chi vi è chiuso dentro, all’umanità che vogliamo condannare al nulla, nessuno vuole mai pensare. Eppure basterebbe accostarvisi un pochino…

    Questo libro offre un’occasione lunga 600 pagine per cominciare a capirne qualcosa… Non fatevi scoraggiare dal “volume”, non è il caso…

    Suggerisco due modi di leggere questo libro. Prima ipotesi: andare avanti pagina dopo pagina seguendo i tempi e il ritmo del diario. Una cronaca giorno dopo giorno, con la narrazione di  entusiasmi, difficoltà, porte che si aprono e burocrazie che le chiudono. Le mille iniziative inventate per raccogliere i fondi, dagli appuntamenti dei “racconti della tombola”, all’”adotta una bolla di sapone”, le cronache dei laboratori, i commenti di chi vi partecipa, i momenti di incertezza, le scoperte, gli incontri, i successi… Sullo sfondo la tremenda realtà del carcere che… “oggi, a Torino, il lavoro del laboratorio di lettura ad alta voce è molto disturbato. Un detenuto si è impiccato in cella con un lenzuolo il giorno prima”.

    Seconda ipotesi: aprire le pagine a caso. Potrete trovarvi all’improvviso davanti poesie bellissime, racconti strazianti, descrizioni fulminanti. Come il racconto di Matteo Mazzei, ad esempio, che … “il mio Quartiere è una zona poverissima, con il nome di ‘ottanta palme’. In realtà queste palme non le ho mai viste. Perché da noi tutto è invisibile. Anche la miseria…”, o come l’attimo della propria vita raccontato da Ahmed Masalmeh che…”prato splendente/ silenti testimoni / i fieri cipressi”, … o come… “ricordare”, bella parola!, dopo 25 anni… Preg Doda… notte d’estate/ vedo luci piccole/ occhi del gufo… o come questa osservazione di Luca, ragazzino disabile in visita ai detenuti: “… eravamo nel cortile, all’aperto, dove molte erano le direzioni possibili. Mi ha impressionato, e ho sentito la prigione, quando mi sono accorto che in quello spazio aperto avevamo una sola direzione: dalla guardia all’altra guardia”. Insomma, il racconto di un bel lavoro. E di un bel successo, nonostante la punta d’amarezza, che spunta qua e là, per tanta indifferenza o “distrazione”, da parte di istituzioni, stampa… Ma, a voler vedere la metà piena del bicchiere, conferma di quello che da tempo penso anch’io: che c’è un’Italia molto migliore della rappresentazione che se ne dà e di chi la rappresenta.

     

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