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    Non chiudete Casale San Nicola!

    DSCN1138 (4)Il racconto di Daniela Morandini su quel che sta accadendo al centro di accoglienza di san Nicola. Gli ospiti di Casale San Nicola, e le persone che si stringono intorno a loro…

    “Conto alla rovescia per i profughi del Casale San Nicola, a Nord di Roma.
    Proprio mentre “Fuocoammare”, il film sulle tragedie di Lampedusa, trionfa a Berlino, il prefetto di Roma Gabrielli ordina lo sgombero di questo Centro di Accoglienza.
    Entro il 12 marzo questi settantasette ragazzi, sopravissuti alle guerre, al terrorismo islamico, al deserto e al mare, devono andare via anche da qui, dove la borgata diventa zona residenziale.
    L’ordinanza intima alla cooperativa Isolaverde, che gestisce il Centro, “di proporre entro 30 giorni l’utilizzo di altri stabili”.
    La decisione, si legge, viene presa per “motivi ambientali”. (…)
    Cerchiamo allora di capire meglio e di tornare indietro.
    In luglio, un blocco stradale ferma il primo pullman di ragazzi africani diretti al Centro, una vecchia scuola in disuso, rimessa in sesto dalla Cooperativa Isola Verde, dopo avere vinto l’appalto.
    “No agli immigrati”, “tocca prima a noi”, “ difendiamo i nostri figli” e’ scritto sugli striscioni di un presidio di residenti.
    Arriva anche un manipolo di Casapound: facce nascoste dai caschi, manganelli, saluti fascisti, sassi lanciati, cassonetti bruciati e cariche della polizia. Quattordici agenti restano feriti e due manifestanti finiscono in carcere.
    Ma i rifugiati non rispondono alle provocazioni, e ricominciano ancora.
    Sono giovani, neri, gentili, musulmani. Vanno alla scuola di Sant’Egidio, seguono le lezioni interne, formano una squadra di calcio.
    Diventano amici con quelle persone del quartiere che vogliono vivere in pace e che, prima di Natale, portano panettoni, pasta al forno e tanta musica.
    Casale san Nicola si fa conoscere in tutta Italia: il Sud e la cultura sono i primi ad accorgersene.
    “L’accoglienza in Italia di ragazzi di altri Sud del mondo – scrive loro Eugenio Bennato – è la massima espressione contemporanea della cultura italiana e della sua civiltà .Ed è il più forte gesto di denuncia e di isolamento delle deliranti follie estremistiche. I giovani del Camerun e del Senegal possono arricchire il nostro quotidiano di colori e di favole. Siamo con voi. La musica è dalla vostra parte”.
    “Sono anch’io un emigrante – aggiunge James Senese, nero napoletano – e nella vita ne ho passate tante, ho dovuto combattere tutto e tutti e non è mai finita, tranne che io sono riuscito ad essere qualcosa in questa società. Un abbraccio, fratelli”.
    Da quel luglio di guerriglia, sono nate tante storie e si sono intrecciate tante vite.
    Gabriele è un ragazzo di ventiquattro anni con un ritardo mentale, che vive a La Storta, a pochi passi da San Nicola.
    “Non ha mai avuto un amico –racconta sua madre, Maria Grazia Pietrelli- ma un giorno qualcosa è cambiato”.
    Una mattina, per strada, Gabriele incontra Enza, un ragazzo della sua età, che vive al Casale e che viene dal Gambia, il più piccolo stato dell’Africa, dove negli ultimi mesi sono ricominciate le esecuzioni e dove, secondo una relazione dell’Onu, la tortura viene praticata con scariche elettriche e soffocamento.
    “Sei un bel negro – gli dice Gabriele e tutti e due scoppiano a ridere.
    Ora i due ragazzi sono sempre insieme.
    “Enza – continua la signora Pietrelli- e’ riuscito a buttare giù tanti muri, nessuno c’era riuscito prima di lui. Anche se vive al Casale, fa parte della nostra famiglia”.
    Modi e’ nato nel Mali dove, dal colpo di stato del 2012, si continua a sparare. E’ diventato amico di un elettricista che vive da queste parti. “E’ la persona più buona del mondo- dice riconoscente ”. Con questo piccolo imprenditore, Modi ha imparato cosa sia la corrente elettrica e cosa fare ogni volta che salta la luce.
    Anche Damboù viene dal Mali, dove sono solo le donne a pensare al cibo, ma è sempre il primo ad aiutare in cucina. E intanto, lui che non era mai andato a scuola, e’ passato dall’analfabetismo alla posta elettronica.
    Wally e’ andato via dalla Mauritania a quattordici anni. Nel suo paese c’è ancora la schiavitù. Ci ha messo anni per arrivare fin qua. Parla bene l’italiano, e se qualcuno alza il volume della tv, con gentilezza, lo abbassa per non disturbare i vicini. Va a scuola, raccoglie le olive, coltiva l’orto. Da poco è stato operato ad un occhio, ma ha voluto tornare al Casale dall’ospedale da solo, con il trenino.
    Abdirashid è di Mogadiscio e ha vent’anni: li ha compiuti qui. E’ uno dei due milioni di profughi della diaspora somala. Quando è arrivato, tre mesi fa, non conosceva una parola della nostra lingua, ma era fiero di essere riuscito ad andare a scuola nel suo paese, nonostante gli attacchi terroristici di Al –Shabab. Ora studia dalla mattina alla sera, e questo e’ il suo primo compito a scuola:
    “In Somalia abitavano tanti animali. Zebre, leoni, elefanti, giraffe. Però quando è cominciata la guerra tutti gli animali sono scappati in Kenya. Perché gli animali vogliono la pace, come le persone. Io spero che gli animali torneranno un’altra volta. Quando la Somalia sarà in pace”.
    Moustapha é di Casamance, Senegal, dove continuano le stragi di una guerra ignorata dall’Occidente. E’ alto due metri, gioca a calcio come un campione, sa fare il barbiere e scrive poesie d’amore per una ragazza lontana:
    “Stenditi sul letto e smetti di respirare .Vedi come ti manca l’aria? E’ così che mi manchi”.
    Tutti insieme, alti, neri e sorridenti, spesso si incontrano a pulire le strade. E le amicizie si moltiplicano.
    “Ora so – dice Elisa Guida socia fondatrice di “Arte in memoria”- che, quando si sta insieme non serve bere e non serve neanche ballare. Basta esserci. Me l’ha insegnato un ragazzo del Senegal che, al Bar del Fosso, non voleva ordinare un panino perché sapeva che avrei pagato io”.
    “I ragazzi del Casale che ho conosciuto –aggiunge Chiara Santella, che studia per diventare tecnico del suono- sono persone autentiche, e non immaginate quanto sia difficile al giorno d’oggi trovarsi di fronte a tanta onestà e tanta bontà d’animo”
    Ma le cose buone non sembrano di questo mondo, e così dalla Prefettura arriva lo sfratto : “Non può considerarsi ammissibile – si legge – un dispiegamento continuo di forze dell’ordine, al fine di garantire il pacifico espletamento del servizio di accoglienza”.
    Perché non sono i migranti ad essere un rischio per la sicurezza. Anzi, sono loro stessi ad essere in pericolo, come era accaduto in luglio, quindi se ne devono andare.
    Il paradosso solleva le proteste: la maggioranza del Municipio XIV chiede che l’accoglienza vinca sulla paura. L’Unione inquilini si appella al Prefetto affinché riveda la sua decisione.
    “Non ci si può lavare la coscienza –afferma Beatrice Piscini, giornalista- solo andando a vedere film e documentari, se pur bellissimi. Non chiudiamo gli occhi su quello che accade normalmente, pacificamente, vicino al nostro giardino”.
    “ Sono molto preoccupata – dice la mamma di Gabriele-. In questi mesi siamo riusciti ad aprire un capitolo nuovo della nostra vita. Se il Casale chiude, se Enza dovrà andare chissà dove – so che mio figlio si ammalerà”.
    “ Chiudere questo Casale – scrive Peppe Desiderio, un liutaio di Positano – fa capire il grado di propaganda montato ad arte da certa stampa e da associazioni come Casa Pound. Vi abbraccio e sono con voi contro la chiusura di un centro che funziona e funziona bene. Tutti abbiamo bisogno di una seconda possibilità”.
    “Non perdete la vostra luce –invita la scrittrice Grazia Frisina- che vi accompagni sempre anche quando l’indifferenza, l’intolleranza e l’ignoranza vi si porranno davanti, come lupi rabbiosi,ad impedirvi il cammino”.
    E forte si alza la voce di chi, settant’anni fa, é sopravissuto alla distruzione del proprio popolo, alla guerra, e ha peregrinato a lungo per trovare una casa e la pace.
    Mentre arriva il sostegno dell’Associazione Nazionale ex Deportati, interviene la scrittrice e poetessa Edith Bruck, deportata ad Auschwitz da bambina e liberata dagli Alleati a Bergen Belsen.
    “La mia piena solidarietà ad ogni profugo – scrive – da dovunque venga e ovunque si trovi”.
    Tuona , a questo punto, Piero Terracina, anche lui sopravissuto alla Shoa:
    “Mi arriva la notizia che si vuole chiudere il Centro di Casale San Nicola. Non dimentichiamo che gli ospiti del Centro sono esseri umani che hanno bisogno del nostro aiuto, della nostra solidarietà. Non possiamo essere indifferenti:quanto male può causare l’indifferenza! Dell’indifferenza sono stato testimone e vittima quando nel 1938 il governo italiano, il mio governo, emanò una lunga serie di provvedimenti a difesa della razza. E tutto accadde nell’indifferenza della maggioranza, indifferenza che portò me e tutta la mia famiglia nell’abisso di Auschwitz, da dove soltanto io, unico della mia famiglia, riuscii a risalire”.

     

    Daniela Morandini

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