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    Lettera a Claudio

    e questa è la lettera che Vittorio da Rios ha scritto per Claudio Conte, dopo aver letto il suo racconto dove parla del giorno di laurea…
    Per la cronaca. intanto, Claudio è stato trasferito. Da Catanzaro è stato spedito a Parma…

    Caro Claudio ho letto con estremo interesse e non lo nego commozione le tue pagine ricevute da Francesca, infaticabile divulgatrice e interprete di straordinarie storie come la tua. Ti dirò che da un po’ di tempo le cose che mi prendono prima ancora che Culturalmente—l’anima e il mio essere nella sua cifra più profonda–, sono le pagine Scritte da uomini a cui la vita ingiustamente ha posto innanzi a indicibili calvari, e che si ritrovano sommersi a vita tra tonnellate di cemento e porte blindate, tipico prodotto di un archetipo culturale giuridico repressivo in cui è il soggetto singolo a dover darne conto, non invece la organizzazione della società in cui e maturata la tragedia. Da tempo fuori da qualsiasi –dogma—accademico mi pongo il problema delle responsabilità collettive anziché individuali. Della totale inutilità di grande parte dell’attuale paradigma culturale giuridico, come pure dell’immenso corpus legislativo. Mentre ti leggevo (…) avevo come sottofondo l’audio delle omelie per me grande maestro di padre Ernesto Balducci, uno dei più grandi intellettuali della modernità che con la sua –svolta– antropologica ci ha insegnato l’improcrastinabile necessità che l’umanità compia un balzo –evolutivo—oltre lo stesso archetipo culturale filosofico-scientifico-teologico-consumistico-produttivo che ha prodotto l’uomo rapinatore quanto genocidario di massa, e la costruzione di mai riscontrabili nella storia dell’ominide sperequazioni sociali. Tempo a dietro scrissi una lettera a Carmelo Musumeci poi pubblicata nel suo diario da l’altra gemma verde che è Nadia Bizzotto nella quale lo esortavo di scrivere-scrivere; che i fogli che si trovano—sotto—la branda verranno tutti pubblicati e li ribadivo che non è un scrittore ombra, bensì un scrittore nella luce più vivida e illuminante citandoli Gramsci che in condizioni di indicibili sofferenze fisiche quanto psichiche ci ha donato opere di immenso valore culturale, filosofico, scientifico, storico, oltre che di straordinaria umanità. Cos’è che fa diventare un fuscello quercia se non le tribolazione e i calvari che la vita spesso ti getta addosso? Caro Claudio so bene o quanto meno cerco di capire in tutta la sua estensione di sofferenza cosa significhi aver subito 27 anni di carcere e di un particolare quanto durissimo carcere. Il tuo racconto preparatorio alla discussione della tesi di laurea consumata nella sala del teatro del carcere mi ha profondamente colpito sia per lucidità espositiva e capacità di manipolare la materia in oggetto quanto per l’universo dei sentimenti che ne sono presenti, i tuo famigliari il papà, la mamma, le nipotine il vedergli assieme per la prima volta, partecipi a un evento per loro forse impensabile anni fa di vederti laureato con 110 e lode e la menzione accademica Immagino per i tuo genitori di aver provato una gioia incommensurabile come certamente lo è stato anche per te. Figure come la tua come quella di Carmelo, di Trudu e di altri diventino coscienza collettiva determinanti strumenti di presa d’atto della totale inutilità del carcere, e dell’ergastolo, e in particolare dell’ergastolo ostativo. Livio Ferrari a cui si deve uno straordinario impegno quotidiano tra i carcerati nel suo ultimo libro—no prison—ovvero il fallimento del carcere, con criteri scientifici dimostra quanto sia urgente andare oltre il carcere.
    In questo senso mi pare molto positivo la presenza di giuristi e costituzionalisti il cui agire va in questa direzione. Ma l’azione fondamentale da svolgersi sta nel fatto della necessità della costruzione di uno stato di diritto che oggi non c’è, presente in tutte—le pieghe della società—che abbia autorità morale ed etica, e strumenti economici giuridici già previsti tra l’altro nel nostro dettato costituzionale in grado di prevenire che il cittadino cada in tragedia. Questo si attua con un immenso lavoro culturale e formativo dove la filosofia non deleteria sia fondamentale ai fini della costruzione appunto dello stato moderno ed efficiente che non è un a cosa astratta oramai divenuto quasi impercettibile ma punto di riferimento per tutti i suoi membri. Alcuni anni fa inviai una breve nota all’allora presidente del tribunale di sorveglianza di Venezia Tamburino, dove facevo alcune mie considerazioni sulla giustizia, e sul sistema repressivo-carcerario e mi permisi di citarli una
    frase che è alla base della costruzione dell’uomo nuovo, inedito, planetario di Balducci: –Se tu scegli di vivere facendo centro su di te hai voglia studiare, hai voglia diventare un luminare universitario
    un premio Nobel, non capirai niente! Se tu scegli di mettere il centro di te fuori di te di metterlo questo centro tra le cose tra le creature tu hai la sapienza. La sapienza spesso sconosciuta e assente tra molti accademici e giuristi, legislatori, giudici, direttori di luoghi detentivi ecc. impedisce scelte all’altezza delle esigenze dell’uomo del terzo millennio. E poi infine non potevo evitare di trascriverli una celebre poesia di Edgar Lee Master assai datata ma che conserva intatta la sua lapidaria attualità pubblicata ad inizio della premessa
    di un notevole lavoro del prof. Adriano Prosperi –la dea bendata—Einaudi 2008
    Io vidi una donna bellissima, con gli occhi bendati.
    Ritta sui gradini di un tempio marmoreo
    Una gran folla le passava inanzi,
    alzando al suo volto il volto implorante.
    Nella sinistra impugnava una spada.
    Brandiva questa spada,
    colpendo ora un bimbo ora un operaio,
    ora una donna che tentava di ritrarsi, ora un folle.
    Nella destra teneva una bilancia;
    nella bilancia venivano gettate monete d’oro
    da coloro che schivavano i colpi di spada.
    Un uomo in toga nera lesse da un manoscritto:
    –non guarda in faccia nessuno–.
    Poi un giovane col berretto rosso
    Balzò al suo fianco e le strappò la benda.
    Ed ecco, le ciglia eran tutte corrose
    Sulle palpebre marce;
    le pupille bruciate da un muco latteo
    la follia di un’anima morente
    le era scritta sul volto.
    Ma la folla vide perché portava le bende.

    Caro Claudio un grande grazie per tutto quello che ci hai donato e un augurio che diventi realtà non lontana nel tempo di poterti abbracciare –libero– come la tua straordinaria evoluzione culturale e intellettuale ampiamente dimostra ne da legittimità etico–giuridica.
    Ti saluto fraternamente con una frase che Don Gallo scrisse a Carmelo –Su la testa sempre—
    Un abbraccio e a presto. Vittorio.

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