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    Se la tortura non esiste….

    torturaLe parole… sembra proprio che a volte facciano tanta paura, per tutta la storia che sottendono. Tanta paura da far venire l’idea, per difendersene, di provare a distorcerne il significato. Quale tentazione più forte in un paese i cui legulei tanto bene Manzoni ha tratteggiato nella figura dell’avvocato Azzeccagarbugli, così pronto a mescolare carte e parole, per tirar fuori dai guai chi ha fatto qualche bravata di troppo…
    “…Purché non abbiate offeso persona di riguardo, intendiamoci, m’impegno a togliervi d’impiccio: con un po’ di spesa, intendiamoci. Dovete dirmi chi sia l’offeso, come si dice: e, secondo la condizione, la qualità e l’umore dell’amico, si vedrà se convenga più di tenerlo a segno con le protezioni, o trovar qualche modo d’attaccarlo noi in criminale, e mettergli una pulce nell’orecchio; perché, vedete, a saper ben maneggiare le gride, nessuno è reo, e nessuno è innocente.(…)”,
    Pensando e ripensando al tanto agitarsi nel nostro parlamento intorno alla parola “tortura”… che a quasi trent’anni dalla precisa definizione che ne ha dato la Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura ( che l’Italia ha ratificato) oggi nel nostro paese ancora sembra non sia chiaro cosa debba intendersi. E davvero imbarazza ripercorrere il dibattito che c’è stato.
    Solo un appunto, per ricordare che (…) si era passati da una prima versione in cui per “individuare” il delitto si richiedevano “violenze e minacce”, ad una in cui occorrerebbero “minacce gravi e violenze reiterate” e la necessità di un “verificabile trauma psichico”, in luogo delle “acute sofferenze psico-fisiche” previste in origine. Roba da legulei, appunto, e piuttosto in malafede.
    Mi fermo solo su un punto: la tortura sarebbe reato se c’è violenza reiterata. Distinguendo dunque da tortura diciamo “semplice” (una tantum?). Come dire: se si è pestati a sangue, se si è obbligati in “posizione vessatoria di stazionamento o di attesa”, da distinguere dalla “posizione vessatoria di transito”…. se si è costretti ad accucciarsi a quattro zampe come un cane e percossi con calci nel sedere, percossi alle testa, ai genitali e alle gambe (scusate la mancanza di fantasia, ho ripreso le testimonianze dei ragazzi a Bolzaneto), ma questo accade una sola volta… non è tortura! Magari solo un po’ di cattiveria…
    Per assurdo, ma neanche poi tanto, se la logica è questa, si potrebbe arrivare a ipotizzare tipologie di “torture-non-torture”: chiudiamo ad esempio una persona in una stanza, lasciamo che ogni giorno passi qualcuno, ma che sia ogni giorno persona diversa, a infliggere al malcapitato una quota di violenza… la responsabilità penale è personale, sarà pure tortura la sommatoria delle violenze che la disgraziata vittima subisce, ma difficile, praticamente impossibile, imputare qualcuno del relativo reato.
    Vedete? Non è difficile entrare nella mentalità del “leguleio”…
    Eppure neanche questo è bastato. Di tortura nel nostro ordinamento ancora non si può parlare. Tutto è rinviato. Ma rimane il voler fare scempio del significato delle parole.
    Eppure, “i vocaboli non mutano le cose, ancorché facciano confusione nelle parole, e negli animi di chi non intende più oltre” ( citazione da una lettera di Giovani Della Casa).
    Ancorché si faccia confusione nelle parole… la sostanza delle cose è il pensiero, neanche nascosto da parte di chi si oppone all’introduzione dell’impronunciabile reato, che perfino con tutti i “correttivi” ideati, l’introduzione del reato di tortura legherebbe troppo le mani alle forze dell’ordine perché potrebbe comprimerne “l’operatività […] nel contesto complesso nel quale dovrebbero venire a trovarsi”. Come dire: lasciateci mano libera e non pretendete che si vada troppo per il sottile, se dobbiamo mantenere l’ordine… Che non può essere, che non è, pensiero a cui tutti, nelle forze dell’ordine, s’informano.
    Una parentesi. Personalmente sono convinta, da quando della vita in carcere ho letto e ascoltato un po’, che introdurre il reato di tortura comporterebbe il ripensamento di tempi e modi di tante nostre detenzioni “speciali”… Ma su questo si tornerà in altra occasione.
    A un gatto randagio che salta dai ‘classici’ ai cartoon ( che linguaggi di mezzo non ne conosce) viene in mente un Carosello che imperversava a cavallo fra gli anni Sessanta e Settanta… la serie di avventure del pirata Salomone che con la sua ciurma scorazza per i mari alla ricerca di tesori nascosti. La trama grosso modo sempre la stessa: ogni volta i pirati fanno prigioniero un nemico che proprio non vuole rivelare dove si trovi il tesoro. E ogni volta l’impaziente pirata Mano di Fata, sollecita: “Capitano, lo vogliamo torturare?”.
    Per fortuna che Salomone è pirata pacioccone, e ogni volta lo trattiene: “ Porta pazienza…”, e spiega che per fare aprire bocca al prigioniero c’è un metodo secondo lui migliore e sicuramente più raffinato della rozza tortura: una dolcissima amarena.
    Ma non è più tempo di amarene. Quanto pacioccone sarebbe oggi il capitano Salomone? “Porta pazienza…- magari direbbe- torturiamo appena appena … uccidiamo poco poco… una volta sola…”
    Un pensiero, alle immagini tremende di vittime che tutti abbiamo visto. Pensando anche a quelle di cui poco o nulla si sa, intorno alle quali non si è mossa l’attenzione che parenti coraggiosi ( madri, sorelle che non si arrendono) hanno saputo smuovere. Che magari una volta sola sono stati malmenati, una volta sola soffocati. Che una volta sola sono morti.
    La discussione in parlamento sull’introduzione del reato di tortura va dunque in vacanza. Ma sono tanti a ricordare che, anche se è estate, il dolore non va in vacanza, né dovrebbe la giustizia…

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