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    reggiseni, burkini e veli….

    fr.burkA proposito di burkini… che pure, considerando quel che accade nel mondo, il discutere che ne è nato intorno a tratti assume toni surreali… ma ho trovato così tragicamente vera, che più non si può, la vignetta ripresa dal numero di internazionale della settimana scorsa. Un riquadro diviso in due. A sinistra c’è una donna in topless e un vigile la ferma, per farle una multa e intimarle: “signora, è vietato. Si rivesta!”. Una data indica il 1966. Nel riquadro a destra, mezzo secolo dopo, stessa spiaggia stesso mare, la donna è ben coperta dal burkini e c’è un poliziotto che la ferma: “signora, è vietato. Si svesta”.
    Fulminante vignetta che punta il dito su quel tratto di spiaggia dove implodono le nostre contraddizioni.
    Diciamo la verità, un bel paradosso… oggi che mostrare liberamente il proprio corpo in spiaggia (e non) è cosa tanto acquisita che ci si dimentica che quei primi topless erano rivendicazione di libertà di scelta personale.
    Ma c’è anche un altro punto che la vignetta ben sottolinea. (…= Se a imporre il rispetto dell’allora comune senso del pudore era un vigile, il castigatore di costumi contemporanei è un poliziotto con tanto di casco e manganello, quasi tenuta antisommossa. Perché il punto è proprio questo: c’è ben altro che non un pezzo di stoffa che si gioca sul corpo della donna. Altri respingimenti…
    “Il burkini permette alle donne osservanti musulmane di non rinunciare a spiagge o piscine pubbliche, ha dato loro potere e libertà, che ora vogliono toglierci. Sembra che si tratti solo di un costume da bagno, ma per molte c’è in gioco molto di più”, non ha mezzi termini Aheda Zanetti, la stilista australiana che una decina d’anni fa aveva ideato il costume da bagno oggetto della contesa di questa stagione, e ricorda bene i tempi, appena ieri, in cui indossava abiti lunghi e rimaneva con le altre donne ferma sulla spiaggia. La verità, sottolinea in un’intervista, è che il corpo di una donna musulmana è sempre politicizzato. Non importa se sia coperto o no.
    Donne musulmane… un cammino non facile. Mentre, dalla riva della libertà, si è pronti a respingerle indietro, brandendo le nostre “libere” convinzioni a proposito di ciò che è “perbene” e ciò che non lo è. Pronti a confinarle in prigioni di malintesi principi.
    Ma le prigioni, pensate per altri, alla fine finiscono sempre per ingabbiare anche noi…
    Per scherzarci un po’ su, o forse no… Comincio ad essere davvero preoccupata per la mia libertà di scendere in spiaggia definitivamente coperta, come da qualche tempo finalmente faccio senza vergognarmene, non avendo mai amato le abbronzature. Non mi fraintendete, trovo la pelle nera bellissima, quando di corpi che di carnagione scura nascono. Per il resto, a meno che non si tratti di pescatori o marinai…
    Avevo tirato un sospiro di sollievo, l’altro ieri, alla sentenza del Consiglio di Stato che in Francia sospende il no al burkini. Ma leggo che il sindaco di Villeneuve-Loubet, sembra non avere nessuna intenzione di ritirare l’ordinanza che vieta il costume islamico sulle spiagge del suo comune. Insomma, ancora scaramucce. polemiche e ritagli di stoffa…
    Ieri un reggiseno, oggi il burkini, che è nella sostanza la stessa questione del velo… Me lo ricordava giusto questa mattina Daniela Morandini, parlandomi di quanto ne “Il velo nell’Islam” spiega Renata Pepicelli. “La rinascita del velo è anche il prodotto di un movimento di donne che sceglie autonomamente di indossarlo, vedendo nel velo una rivendicazione religiosa, una difesa della propria sessualità e uno strumento che permette di entrare liberamente in uno spazio pubblico. Il velo, da questa prospettiva, conferisce quindi allo stesso tempo protezione e autorevolezza”.
    E, sapevate?, a dare inizio a questo movimento sono per lo più studentesse universitarie, molte iscritte a facoltà scientifiche, “che non solo intendono uscire di casa e differenziarsi dalle loro madri studiando, ma hanno la ferma volontà di entrare nel mercato del lavoro”. Insomma, passaporto per luoghi pubblici altrimenti negati.
    Mi ha mandato, ancora Daniela, questa poesia, di Not Faridah Abdul Manaf, malesiana: The veil, my bodj. Ascoltate:
    “E’ solo un pezzo di stoffa / turba il mondo/ Plasma una civiltà / Una civiltà fraintesa. / Costringe, dice l’incolto/ Opprime, fa eco l’ignorante. / Il velo e’ il mio corpo. / Il velo e’ anche la mia mente. / Il velo definisce la mia identità culturale. / Il velo è ciò che sono. / Le vostre denigrazioni e prescrizioni a che io me lo strappi dal capo / sono una violenza sul mio corpo / Un’invasione della mia terra. / Ma dopo la Palestina, l’Iraq, l’Afghanistan e il Kosovo / questo e’ tutto quello che ho”
    Offro questi versi alla nostra riflessione.
    Insieme a un’osservazione. Saranno pure fondati i dubbi sull’autenticità della storia della donna musulmana che due poliziotti, sulla spiaggia di Nizza, avrebbero obbligato a spogliarsi. Ma c’è dell’osceno nello sguardo di chi intorno comunque plaude. Come di tinte oscene si veste la nostra morale “laica”, se arriva a fare di ritagli di corpi esposti all’aria il suo vessillo…

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