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    Poi un giorno sono impazzito…

    dettagli-inutiliRaccontare la malattia con autoironia… Alberto Fragomeni, autore di “Dettagli inutili”, si racconta a Cinzia Ficco, per l’unità.tv…. e si conferma straordinariamente acuto, ironico, prezioso… ascoltate questa intervista… ( e grazie all’autrice che ci permette di condividerla…)

    “Ora è impegnato in un progetto come videomaker con la figlia della compagna di suo padre e i suoi problemi sono soprattutto di natura economica. Ma ha dovuto sacrificare nove anni della sua vita per curarsi.

    A 23 anni c’è stata la prima crisi, un’esplosione di rabbia, tristezza e disperazione, stati di euforia e depressione profonda, che si alternavano a ripetizione. Una diagnosi precisa i medici non gliel’hanno mai fatta. Nessuno psichiatra gli ha imposto di curarsi in un centro di salute mentale. E’ stata una sua decisione, come una sua idea è stata vivere in appartamenti protetti. Ne ha cambiati sino ad ora due.

    978-88-7223-267-5Con il tempo, i consigli del dottor F, la filosofia orientale di Osho, quella occidentale di Heidegger e Jaspers, i film di Malick, il sostegno di alcuni amici e della sua famiglia, Alberto Fragomeni (Bergamo, ’81), è guarito. Almeno in parte. E a quel passato di dolore guarda con ironia. Da matto non professionista, ma da bravo narratore, ha scritto un libro, che si intitola Dettagli inutili, pubblicato da Ab, un capolavoro di saggezza, con la prefazione di Massimo Cirri. Centocinquanta pagine in cui, a volte in modo comico, vedi come gira il mondo nei centri diurni, negli appartamenti per disagiati mentali, e scopri, in parte, come per Alberto, tutto è iniziato.(…)

    “Ho sempre vissuto a Bergamo- mi racconta – ho frequentato parte degli istituti e i tre anni delle scuole medie in un istituto di suore. Al primo anno di ginnasio sono stato bocciato e così mi sono iscritto a ragioneria. Dopo il diploma, ho frequentato per circa quattro anni l’università cattolica di Brescia, un corso di laurea sul cinema, poi sono impazzito. Allora ho frequentato per circa quattro anni un centro diurno, che ho lasciato quando mi sono trasferito in un appartamento protetto, dove risiedo da circa otto anni. Fin dalle superiori, ho fatto piccoli lavori, per lo più manuali, come impagliare sedie. Ora sono fermo per motivi burocratici, ma aspetto di riprendere il mio lavoro protetto in una cooperativa”.

    Alberto vive con un altro paziente. La convivenza non è facile, ma nell’attuale appartamento si sente più sicuro. “Qui – spiega – sono libero, o, forse, sto meglio perché sono più sereno. Cerco di non farmi divorare più dai dubbi come tanti anni fa”.

    C’è solo un pensiero che lo ossessiona sin da quando era adolescente. Ma che oggi è diverso nella sua mente. “Aver acquisito una maggiore consapevolezza nei confronti della morte – afferma – è stato un passo in avanti verso il benessere. Oggi, quando ci penso, la paura mi rimane addosso per giorni, fino a paralizzarmi, ma ogni volta, passata l’angoscia, non posso che rallegrarmi della visita di questa penosa preoccupazione, perché so che si tratta di una questione autentica e che solo dalla sua estrema prospettiva posso contemplare il senso nascosto della mia vita. Una vita che da qualche tempo non conosce imprevisti. E pensare che da ragazzino mi sentivo invulnerabile e all’inizio nel centro diurno il dottor F ha dovuto stemperare il mio sentimento di superiorità!”.

    Ma oggi, lontano dai fenomeni di depersonalizzazione, dal pensiero magico, dal rigore zen che hai inseguito per anni, dalle letture di Nietzsche, dalle stanze dove hai visto degenti bagnarsi di urina o sbattere la testa contro un muro, com’è la tua vita?

    “Prendo una compressa – dice – per non sentirmi dio e un’altra per non sentirmi una merda e un’altra ancora per non aver paura di sentirmi una merda o forse per non aver paura di sentirmi dio. Non lo so, non l’ho ancora capito. Ma sto molto meglio. Ho imparato a cercare il benessere. Sai, quando arrivi in un centro di salute mentale e compi il primo passo entro il confine della psichiatria, stai così male, spesso anche fisicamente, che il ricordo di quel dolore ti rimarrà addosso per tutta la vita e l’ultima cosa che vorrai è riprovarlo. E tutta la tua vita finirà per costruirsi attorno a questo desiderio. Al primo posto della scala dei valori del malato mentale c’è evitare il dolore. Chi non costruisce la propria vita intorno al sintomo, è guarito, anche se la malattia è ancora lì con lui, cronica, che torna e ritorna. C’è chi è malato, e non ci può fare niente. Chi, invece, ha una malattia, e allora può trascenderla. Io ci sto provando. Ora l’unica mia preoccupazione è riuscire a trovare un lavoro dignitoso per diventare autonomo, e andare a vivere in un altro posto. Insomma, come vedi, ho imparato a lasciare scorrere la mia esistenza con serenità, non faccio grandi progetti. Vivo in modo intenso l’attimo e non oppongo resistenza ai momenti di gioia”.

    Qualcuno dice che la malattia mentale sia solo il disagio di chi è più sensibile o pensa troppo ed è incompreso. E’ così?

    “Noi malati psichici più sensibili. E chi l’ha detto? – risponde – Non siamo né più intelligenti, né più creativi. Lo siamo di meno, anzi siamo stupidi, ignoranti, fissati, presuntosi, maleducati, rancorosi, cattivi e siamo finiti nella psichiatria, dove non si lascia indietro nessuno, dove stanno gli stupidi, i fissati, i maleducati, i cattivi, dove peggio sei e meglio è. Basta con la retorica della follia, anche perché i primi a cascarci sono i malati stessi che, ignorando la propria diagnosi, spesso pensano di avere superpoteri ed essere più sinceri e interessanti solo perché misteriosi. Proviamo a osservare in modo diverso la malattia”.

    E come?

    “Be – conclude – io provo a guardarla con rabbia e tolleranza, sconforto e speranza, attraverso l’analisi e attraverso il racconto, l’ironia. E qualcosa sta cambiando”.

    Cinzia Ficco

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