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    La bella estate…

    copertinaRandagiando di prima mattina fra le vie dietro casa, mi ha fermata due giorni fa una signora. Aveva un abito da mattino, bianco e nero. Un abito dalla garbata eleganza che si usava un tempo. Al collo portava una collana di quasi-perle d’un bianco un po’ sfocato, ma ben intonata all’abito. E nonostante un cenno di scompostezza che i capelli tradivano e lo sguardo scosso, tutto mi aspettavo fuorché mi chiedesse: “Me li dà almeno due euro…”
    “Almeno due euro!”, ha insistito. E, quasi seccata per il mio attimo di incertezza, che stavo lì a dubitare di una signora come lei… “E sù!… veda un po’ quello che può fare… che mi servono almeno sei euro. Poi vado in farmacia”.
    Quello che posso fare… Ma che si può fare… Due euro, e forse neanche sei bastano per non provare imbarazzo, davanti al volto provato di quella donna. Mentre di lei tutto il resto parlava di una vita fino all’altro ieri tranquilla e più che decorosa. E non bisogna neanche sforzarsi molto per capire cosa le sarà mai successo. Se basta un nulla, e la vita si capovolge, e ci si perde…
    Su altra traversa, poco più avanti, da qualche tempo compare a tratti una donna che si poggia a fatica su una stampella e chiede ‘un aiuto’… Si capisce che non è mendicante, ma proprio non ce la fa con i soldi… Ma non ha nessuno, non ha parenti? le chiedo. “Una figlia, ma mi ha lasciata”, risponde. “E vado avanti così”. Non ha più una casa, e chissà cosa succederà domani.
    Ma che si può fare, oltre che vergognarsi della poca elemosina…
    E in questi giorni ho tra le mani un libro dove parlano storie vere, di uomini e donne che raccontano la loro discesa agli inferi, anche quando magari “avevo una vita come tutti, ma basta poco per finire male. Credetemi”. Le hanno raccolte, queste storie, Bruno Furcas e Salvatore Bandinu, che per professione di persone per un verso o per l’altro in difficoltà si occupano e, scrittori, riempiono le loro narrazioni della materia della vita che incontrano.
    Come con questo “C’è amore un po’ per tutti” ( l’editore, Arkadia). Storie imbevute di pesanti mancanze e di rumorose assenze, di persone finite in strada, come le tante che ovunque a non esser ciechi si incontrano, che con Furcas e Bandinu riescono a confidarsi, e quindi raccontarsi…
    “Ecco cosa siamo: due cani incatenati allo stesso destino. Due cani traditi e abbandonati… Cosa pensi Ringhio? Hai paura? Stai tranquillo non ti lascerò mai, perché entrambi conosciamo l’abbandono e sappiamo che è la cosa più terribile che esista”… Un uomo, un cane…
    Sono storie che, come spiega Bandinu, parlano di casa, come luogo, ma soprattutto come rifugio dell’anima… Ma non è solo disperazione, e svelandosi a noi, i protagonisti di questo libro-documento pure ci indicano un barlume di luce. Perché, spiegano Bandinu e Furcas, se la perdita della casa, della famiglia, diventa, oltre che perdita di un luogo fisico, la perdita di uno spazio metafisico e psicologico, il raccontare e il raccontarsi diventa un modo per ricucire la propria vita. Che non è necessariamente guarire, ma ri-significare… Ri-significare… cosa difficile, forse, da capire “in un’epoca che dà prezzo a tutto e valore a nulla”. Eppure, che cosa potente può essere…
    Ripensando dunque alle due donne, quella con la stampella, quella con la sua bella collana bianca… chissà quanto avranno camminato e chiesto, fra strade quasi vuote, in attesa dell’oggi…
    E cosa si può fare… Intanto fermarsi a parlare, e lasciar parlare, come insegnano le storie di Furcas e Bandinu. Non fuggire via, come pure ho fatto, nella nebbia del caldo. Anche se non è facile, oggi che l’aria sembra tutta un’eco di silenzi.
    Camminando per le strade, in questi giorni di respiro bruciato, ancora volti, e chissà quali storie… diverse eppure così simili ad altre incontrate lo scorso anno e l’altro anno ancora… scene ordinarie del tempo di quando chi può scappa via … e l’abbandono diventa ancora più crudele… Ed è ugualmente crudele per uomini e animali…
    Dal taccuino d’appunti, Ancora un luglio. Sotto un arco di porta san Giovanni. Lì, a due passi dalla statua di san Francesco, a tratti compaiono e scompaiono improvvisati mercatini di poverissime cose. Ma oggi fra abiti e libri strausati, accendini, e bamboline rotte… ci sono in fila, appoggiate al muro, delle scarpe da donna. Neanche poi tanto consunte, e la foggia piuttosto elegante e quei tacchetti, quei colori, rimandano alla leggerezza di un tempo fatto di incontri, e feste, e balli… Chissà quanto lontani… ho pensato scorgendo il profilo dell’anziana donna che si teneva un po’ nascosta dietro l’arco, forse vergognandosi, per quei suoi ricordi che era ora costretta a vendere sul bordo di una strada. Come vendere pezzi d’anima. E chissà se qualcuno sarebbe venuta a salvarla…
    Sul marciapiede più avanti (che è lo stesso marciapiede dove si ferma la signora con la stampella) passa un cane, sembra femmina, di bastardo di lupo. Con un collare che balla sul collo smagrito e assetato. Passa in un’improbabile corsa, arrancando su tre zampe. La quarta rattrappita, ferita, spezzata, forse. Punta, in avanti, il muso, come sapesse esattamente dove deve arrivare, per ritrovare la casa dei suoi, di quelli che immagini l’abbiano da qualche parte, con finta distrazione, lasciata sola.
    Stesso giorno, dall’altro lato della città. Alla fermata di un trenino. Un pastore belga, bianco, è accucciato sul limite dei binari. Segue con gli occhi ansimanti il movimento delle porte. Che si aprono. Che si chiudono. In attesa, si capisce, che prima o poi tornino a prenderlo. Il treno si allontana e il cane diventa una macchia, una pallina d’un bianco sfocato. Come le perle della collana della signora l’altro ieri incontrata.
    Appunti, di ‘boati di solitudine’ ( rubo un titolo che tutto dice a un altro libro di Bandinu e Furcas)… d’un giorno d’estate. Della bella estate…

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