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    Una morte da non archiviare…

    La morte di Valerio Guerrieri, ventidue anni appena, che si è suicidato nel febbraio scorso nel carcere di Regina Coeli. Se la domanda è: è proprio in un carcere che doveva trovarsi quel ragazzo?
    Antigone di nuovo interviene per chiedere giustizia e si rivolge alle Nazioni Unite. Riporto il comunicato dell’associazione, che bene spiega…
    “Il 24 febbraio scorso Valerio Guerrieri, un ragazzo di 22 anni, si è suicidato nel carcere di Regina Coeli. Per questo fatto nei giorni scorsi a due agenti della polizia penitenziaria è stato contestato il reato di omicidio colposo.
    “Questa prima parte delle indagini – dichiara Patrizio Gonnella – non tiene conto dell’elemento probabilmente principale, ovvero se Valerio Guerrieri si dovesse trovare in carcere o meno”. “Da quanto evidenziano le memorie della difesa sembrerebbe infatti di trovarsi dinanzi ad un caso di detenzione che non avrebbe dovuto esserci. Un fatto molto grave – conclude Gonnella – che assume però ulteriore gravità nella vicenda specifica conclusasi con il suicidio di questo ragazzo ”.
    Nella ricostruzione della difesa si evince come il 2 settembre 2016 Valerio Guerrieri viene arrestato in flagranza di reato per resistenza e lesioni a pubblico ufficiale e danneggiamento aggravato. Il procedimento scaturito da questo arresto si conclude il 14 febbraio del 2017 quando il giudice lo “condanna alla pena di quattro mesi di reclusione” e “dispone la misura di sicurezza con assegnazione in regime residenziale in una casa di cura per la durata di mesi sei, con revoca della misura cautelare della custodia cautelare in carcere”. Viene quindi riconosciuto a Valerio un vizio parziale di mente, sulla base delle conclusioni avanzate dal perito del Tribunale che, nella stessa udienza del 14 febbraio chiariva come fosse presente “un rischio suicidario non basso, quindi non trascurabile” e come questo fosse “un altro elemento che va ovviamente soppesato dal punto di vista trattamentale”. Dunque già mesi e mesi prima del suicidio si constatava un grave malessere e un rischio che potesse suicidarsi.

    In questa vicenda processuale pare sia stata revocata per due volte dal giudice la misura della custodia cautelare in carcere e in entrambi i casi il provvedimento non è stato eseguito. Valerio Guerrieri dunque per due volte pare resti in carcere senza titolo legale.

    La prima misura cautelare presso il carcere di Regina Coeli viene applicata il 3 settembre 2016 poiché l’abitazione dei genitori di Valerio Guerrieri indicata come domicilio per l’esecuzione degli arresti domiciliari viene giudicata inidonea. Tuttavia il giudice, quasi due mesi dopo (il 25 ottobre) modifica questa misura disponendo la detenzione domiciliare presso la casa dei genitori. Un’ordinanza che non viene mai eseguita. Il ragazzo resta quindi in carcere senza titolo.

    La seconda misura cautelare in carcere viene applicata con un’ordinanza del 21 dicembre 2016. Misura definitivamente revocata il 14 febbraio del 2017. Anche in questo caso però non viene data esecuzione al provvedimento di revoca.

    Tra questi due momenti a Valerio Guerrieri, in esecuzione di un’altra sentenza del 9 marzo 2015, viene applicata la misura di sicurezza del ricovero presso una REMS poiché assolto dalle accuse mossegli a suo tempo per incapacità di inteendere e di volere.
    Come si evince da questa memoria, dunque alla data del 24 febbraio 2017, giorno in cui si è tolto la vita impiccandosi, Valerio non avrebbe dovuto trovarsi detenuto presso il carcere di Regina Coeli. Motivo per cui la difesa incaricata dalla madre del ragazzo ha chiesto alla Procura della Repubblica di Roma di indagare individuando possibili profili di responsabilità in merito alla illegittima detenzione (art. 607 c.p.).
    Valerio Guerrieri era sottoposto ad alta sorveglianza, ossia doveva essere controllato in carcere a intervalli regolari per verificare che non si suicidasse. Ora gli unici indagati pare siano due poliziotti per una sorveglianza avvenuta con qualche minuto di ritardo. “In questo caso vorremmo che la giustizia andasse oltre e si interrogasse – conclude Patrizio Gonnella – intorno a come è stato affrontato dai servizi territoriali e da tutti gli attori del sistema un caso come quello di Valerio Guerrieri. Come mai era in carcere? Come mai per un fatto lieve si può finire nel girone infernale della prigione? E’ questo un caso di abbandono terapeutico?”

    Il caso è stato posto da Antigone anche all’attenzione del Comitato delle Nazioni Unite contro la tortura che nel prossimo mese di novembre si riunirà a Ginevra per giudicare l’implementazione della Convenzione in Italia”
    Andrea Oleandri
    Ufficio Stampa Associazione Antigone
    e-mail: ufficiostampa@associazioneantigone.it
    web: www.associazioneantigone.it

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