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    I miei due cuori….

    libro OmarHo conosciuto la storia di Omar dalle parole di Francesca, Francesca Altieri, che un giorno mi ha parlato del nipote di un’amica di Genova, mezzo palestinese mezzo italiano… una storia sofferta che ancora gli gonfia il cuore… “Sente l’urgenza di scriverne… lo sta facendo… è una storia che parla di tante persone nella sua condizione… è importante che riesca a raccontarla, ma ancora ha dubbi…”. La sua è la storia di uno di primi bambini nati in Italia da matrimoni misti che, alla rottura del rapporto, diventano le vittime di una contesa fra due sponde… gli ultimi dati forniti dal ministero degli esteri, riferiti al 2013, parla di oltre 215 casi di sottrazione di minori, e riguardano l’Europa, dentro e fuori l’Unione europea, le Americhe, l’Africa, il Medio Oriente, l’Asia…
    Così un giorno che, per altre vie, sono finita a Genova l’ho incontrato. Omar Rizq e i suoi grandi occhi pieni di inquiete lontananze… Un padre qui venuto dalla Palestina per studiare architettura, madre di origini siciliane, che a Genova ha incontrato… Il matrimonio, poi le cose che non vanno, lui che vuole ritornare nella sua terra d’origine e infine rapisce il figlio, quando aveva appena sei anni, per averlo tutto per sé ed educarlo alla sua cultura…
    Omar infine è tornato in Italia, con la madre, ha proseguito gli studi, si è laureato nella facoltà di lingue e letterature straniere di Genova, dove poi ha insegnato per alcuni anni la lingua araba … ma gli anni dell’infanzia e poi della prima adolescenza sono un groviglio che pesa sulla sua anima, e tutto questo groviglio aveva provato a districare scrivendo. Cento pagine che mi aveva fatto leggere, confidandomi i suoi dubbi e le sue incertezze…
    Ma la storia era già tutta lì. Un racconto istintivo, pieno di emozione, palpitante di vita. E ora è in questo bel libro “I miei due cuori nomadi” ( edito da Il Canneto). Un libro prezioso per capire quella che oggi è la storia anche di tanti altri ragazzi come lui…
    Per capire quanto il trauma del rapimento sia stato forte, difficile da superare. La lontananza improvvisa dal proprio mondo dal quale il padre lo porta via una prima volta per un anno e, dopo un breve ritorno, per un periodo ben più lungo. Immaginate… Separato a sei anni dalla propria madre, di cui disperatamente cerca tracce, lasciate nei brevi incontri quando ancora le era stato permesso andarlo a incontrare… “Mi torturavo cercando il cuscino che aveva ancora il suo odore, ma la tenerezza e la dolcezza che ricordavo di lei si trasformavano mio malgrado in veleno, un acido corrosivo ..”. E poi le difficoltà, gli scontri con quel padre padrone che “sarebbe stato il mio hijaab. Perché mi avrebbe separato definitivamente per cinque anni da mia madre e dall’Italia, come già un anno prima mi aveva separato dalla mia natura di bambino”.
    Ma …non è tutto così semplice. Perché anche quel mondo di là dal mare, dal primo pellegrinare fra Kuwait e le città della Giordania, dove infine padre e figlio si fermano, riesce ad entrare a poco a poco nel suo animo bambino, ad affascinarlo. Immaginate… le grandi case piene di cugini, nuovi fratellini che nascono, nuovi nomi, Saamer, Ranaa, Nadaa e Khaaled, Bayaan…, quei materassi in terra dove si dormiva tutti insieme… la musicalità delle litanie delle preghiere, l’eco della nuova lingua, nuovi sapori, il sole cocente… la bellezza del deserto che… “mi incantavo così, sotto il disco incandescente del sole, in quel paesaggio così alieno e lunare e, per questo, così mio, così famigliare… Dentro di me mi trovai finalmente ‘a casa’”.
    Un racconto che molto ci insegna di due mondi, e con Omar ci fa disperare e pure incatena e affascina e lacera…
    Come tutti i bambini Omar giocava con i pastelli, e i suoi disegni di allora non potevano che raccontare, forse più delle parole, la sua anima: un serpente che, trafitto da una freccia, ha fauci spalancate e una paurosa lingua di fuoco, ma è rutilante di splendidi colori… un luminosissimo sole su di un mare con onde che sembrano aculei, pronte a soffocarlo… un coloratissimo cavalluccio alato, che sembra invitare a salirgli in groppa per volare via… un omino diviso esattamente in due metà, una grigia e una rosa sullo scarabocchio nervoso di tutto quello sfondo nero…
    Così, quando poi finalmente la madre vince la sua battaglia e riesce ad avere il figlio con sé in Italia, il ragazzo che non è più bambino si rende conto che, come prima la sua Genova, adesso la sua Giordania gli sarebbe tremendamente mancata.
    “La battaglia emotiva dentro di me era potente come l’energia dell’acqua nel punto di incontro fra un fiume e il mare, e cominciava a rivelare sempre più chiaramente le mie due nature, i miei due cuori nomadi, quella condizione che mi faceva sentire né carne né pesce, uno straniero ovunque, sconosciuto persino a me stesso”.
    E anche il ritorno in Italia non è privo di amarezze e disillusioni. Leggete, e capirete…
    Quanta saggezza nelle riflessioni sofferte di Omar, che ora svela una maturità forse più grande dei suoi trentatré anni… “Il dolore di mia madre quando le fui portato via non può essere scisso da quello egoistico di volermi accanto a sé, quasi come specularmente fu egoistico, quali che fossero le sue ragioni, il colpo di testa di mio padre”. Capirete come “la battaglia fra mio padre e mia madre per la mia anima, era anche per le loro”. Quanta saggezza e quale, ancora, lacerazione…
    Ma non riesco a non pensare oggi, nonostante le difficoltà, alla ricchezza di quei suoi “due cuori nomadi”.
    Sorprendono le pagine finali, dove Omar racconta il nuovo incontro, dopo tanto tempo, sia pure solo al telefono, con il padre. Parole, per la prima volta fra uomini…
    “Non so se si può recuperare qualcosa. Non so neanche se c’è qualcosa da recuperare. Ma quelle telefonate mi hanno fatto sentire che forse nulla è mai veramente perduto perché nulla di quello che ci accade è mai insensato”.
    E chi è Omar oggi? La risposta, bellissima, è nelle ultime righe del libro. Dove racconta di una breve gita con tre colleghi, uno di origine ecuadoriana, l’altro sardo… “Che bella macchinata! Mi sto portando dietro un sudafricano, un sardo… e tu, cos’è che sei più?” fa l’ecuadoriano rivolto a Omar. Amichevolmente risponde per lui il sardo: “E’ mezzo siciliano mezzo palestinese! Belin, Omar, hai il sangue di mille querce!”.
    E Millequerce, nel mio cuore, è rimasto il nome con cui sempre penso Omar e la sua affollatissima, inquieta, anima nomade…

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