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    abbracciati alla luna…

    brevissima-storiaAccendendo, ieri sera, il computer dopo un breve tempo d’assenza, dopo due giorni di incontri, parole, allegria, anche… mi si è fermato il cuore leggendo della morte di Bea… otto anni e una malattia rarissima, tanto rara che nemmeno sembra abbia un nome, che l’aveva ingabbiata in un corpo immobile… E proprio non mi riesce di andare oltre e raccontarvi quello che avevo da raccontarvi a proposito del mio bel viaggetto. Ci sarà tempo.
    Oggi, permettete, un pensiero per Bea che, come ricorda il padre, è stata una bambina coraggiosissima, che amava la musica, la danza e mai si lamentava…
    “Come tutte le storie che racconta Erik anche questa dev’essere stata una storia bellissima, per quanto dalla luna la sua voce non si udiva… “. L’articolo di giornale che parla della bambina, mi è stato mandato, accompagnato da questa dedica, da Daniela Messi (e davvero la ringrazio per avermi fatto partecipe), che cita un passo di un bellissimo libro che aveva curato per Angolo Manzoni (interessante casa editrice che purtroppo non c’è più): la “Brevissima storia di una bambina e una gatta che volevano vivere aggrappate alla luna”.
    Tornare a parlare di questo libro mi sembra la cosa migliore per ricordare Bea e tutti i bambini coraggiosi  come lei. A scriverlo è stato Gianpietro Scalia, che di professione fa il medico, ed è persona dalla sensibilità immensa. Scrive, dice, per esorcizzare l’indifferenza. E questo suo libro, vi assicuro, vi riesce. Questa sera torno a sfogliarlo, per provare a sentire, attraverso le sue pagine, la voce di Bea… Perché la storia è narrata in prima persona proprio da una bambina che soffre di una malattia inguaribile che la porta progressivamente alla paralisi…
    La bambina, con la leggerezza che solo i bambini sanno avere, riesce a tratti persino a far sorridere, e pure ci inchioda alla nostra stupidità adulta, libera, lei sì, dai filtri che noi “grandi” abbiamo imparato così bene a usare per mascherare la realtà quando non ci piace.
    Ascoltate come descrive il pezzo di mondo che ha intorno: “Negli ospedali è povero chi ha dolore, o chi deve entrare in sala operatoria dove si dice che aprono le pance (…) i bambini del mio reparto in questo senso sono tutti poveri, e lo si capisce anche da certe espressioni che usano gli adulti quando vengono a farci visita… “povero bambino” per esempio, è un termine molto utilizzato da noi (…)”.
    La gatta del titolo è una gatta di panno, che la fantasia della bambina fa vivere. Una gatta anemica… Fra le pareti di una stanza d’ospedale, è il desiderio di vita che anima quel suo morbido pupazzo, e anche noi, leggendo, non possiamo che pensarlo vivo… E poi c’è Erik, un volontario che racconta storie bellissime e con le sue marionette cura la tristezza dei bimbi… Erik e una bellissima infermiera, Sasha, che come lui riesce a entrare nel mondo dei più piccoli, con un linguaggio che non è a loro oscuro e distante…
    “(…) e ho visto che aveva pianto. Di solito Sasha piange tutte le volte che muore un bambino, anche se non sa che io lo so. Il più delle volte s’inventa qualche scusa perché non vuole darmi un dispiacere: a volte dice d’aver pianto perché ha litigato con un’amica, altre volte dice che ha visto un film commovente, e io faccio finta di crederle ogni volta. (…) Credo che i grandi a volte si complicano la vita, solo per dimostrare a noi bambini quanto sono bravi a togliersi dagli impicci”.
    Un invito agli adulti, ai medici, anche, a trovare il linguaggio che non li faccia estranei, in questo mondo dove molto, troppo, ci ricorda Scalia, è “meccanica”. Molto è purtroppo “meccanica”, ci dice, anche negli ospedali.
    Nel piccolo cosmo di una stanza d’ospedale passano tutti i sentimenti, anche un delicatissimo rapporto d’amore. Per dirci che un bambino malato non è un bambino a metà e che la vita, “anche se brevissima come il battere d’ali di una farfalla, è vita se pregna di sentimenti veri e forti”. Questo ci dice Scalia, che, da medico, si occupa di terapia del dolore.
    La “Brevissima storia di una bambina e una gatta che volevano vivere aggrappate alla luna” (che è stata anche tradotta in francese) ha la veste di una racconto per ragazzi, quasi una favola, ma dovrebbero leggerla tutti, perché affrontando il tema del dolore, affronta quello più generale del confronto con la vita e con la morte, che della vita è parte. Che è cosa che troppo spesso vogliamo dimenticare. Temi immensi…
    “La verità è che ci si stanca ad essere malati, e a differenza di quel che dicono i dottori, ci si stanca di più quando si è bambini perché nessuno ha il coraggio di dirti cosa ti aspetta nei giorni che verranno”.
    Incredibili le strade che i bambini sanno indicare… “All’improvviso mi sembra di avere trovato la soluzione al mio problema, e ho capito cosa avrei dovuto fare se fossi salita in cielo. Mi sarei dovuta aggrappare alla luna…”
    Davvero alla fine lei riesce a vivere, con la sua gatta, aggrappata alla luna, e la sua voce è proprio la voce dei tanti piccoli come lei, volati anche loro ad abbracciare la luna…
    gatto codaE mi viene in mente un altro racconto, “Il gatto che aveva perso la coda”, di altra delicatissima scrittrice, Emanuela Nava… fiaba scritta per aiutare i bambini, ammalati di tumore, ad affrontare il percorso della terapia. La storia di un gatto che, con la sua brava navicella e il suo bel casco, viaggia nello spazio per trovare la coda perduta. Una fiaba terapeutica, dove vengono trasfigurati in qualche modo gli strumenti con i quali il bambino avrà a che fare durante la terapia… E davvero i bambini ai quali la storia viene letta, mi aveva raccontato Emanuela, si immedesimano in quel gatto, perché tutto nella fiaba, a livello inconscio, richiama la loro condizione…
    Ancora un volo, in alto, sopra la terra, per trovare le parole della leggerezza, oltre il dolore, nonostante tutto.
    Ripensando a Bea, ora con tutta la musica dei suoi sogni, vicina alla mamma, che lì era andata prima di lei, abbracciata alla luna…
    che è forse il posto dove tutti dovremmo andare, anche solo per un po’, per esorcizzare l’indifferenza, come dice Scalia, … per provare a ritrovare almeno un pezzetto del nostro senno perduto…

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