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    Cercando Ofelia

    antonella-lia-cercando-ofeliaDopo la terribile strage di Latina… Ogni volta sembra che la tragedia ci colga di sorpresa… Eppure,
    provate a digitare in rete due paroline. “Orrore” e “famiglia”… l’elenco che salta fuori ve lo risparmio, ma c’è da restarne raccapricciati, e non c’è paese o ceto sociale che si salvi. Inferni familiari…
    “Io ho dato latte e so quanto è dolce amare il bambino che ci sugge il seno e tuttavia gli avrei strappato il capezzolo dalle tenere gengive nel momenti stesso in cui mi sorrideva e gli avrei spezzato il cervello, se lo avessi giurato”. Così Lady Macbeth… e chi meglio di Shakespeare ha saputo esplorare l’animo umano, anche nei suoi più cupi recessi. E meglio non poteva fare Antonella Lia, psicologa, psicoterapeuta, da anni impegnata contro la violenza in famiglia, scegliendo citazioni dalle opere del drammaturgo inglese a far da esergo a ogni capitolo del suo nuovo libro. “Cercando Ofelia” (edito da NulloDie).
    Da quando ho letto il suo primo lavoro, “Abitare la menzogna”, aspetto sempre con curiosità l’uscita dei suoi lavori. E ora ho appena finito di leggere questo suo ultimo, per il quale l’autrice ha scelto la veste del triller psicologico. Non si arrende Antonella Lia, nel suo continuo additarci il male che può annidarsi in spazi a noi tanto intimi e gli inferni familiari che ne nascono.
    “Ofelia” riaffiora in copertina col bellissimo volto, forse il più famoso nell’arte, dipinto da John Everett Millais, con tutto il suo carico di dolore, di stupore, di innocenza disperata … per una trama dove di morti ce n’è più d’uno, ma morta, soprattutto, è la vita soffocata dentro le spire di mostri che dinamiche familiari sanno spesso così ben costruire, dove alla fine nessuno è innocente…
    “In quel sonno di morte tutti i sogni… dovranno indurci a riflettere…”, ancora Amleto.
    L’Ofelia del titolo è il ricordo confuso della bambina scomparsa tanti anni prima, la figlioletta persa di nonna Maddie. Ma com’è morta, quando è morta, è mai davvero esistita, questa Ofelia? Le domande piano piano si insinuano e ci incalzano…
    “Addio Ofelia, e ricorda le mie parole. Porti con te la chiave della mia memoria dove sono chiuse”.
    Ma la protagonista del racconto non è lei. E’ Maddalena, e tutta la sua vita chiusa dentro Villa Hamlet. Maddalena già donna adulta che si scruta nella sala degli specchi, e si chiede perché non ha vissuto la sua vita. Maddalena, figlia del disamore… che, come si premura di spiegare Antonella Lia, non è semplice mancanza d’amore, ma è qualcosa la cui logica interna non è altro che “l’annientamento” del figlio, e a scatenare la rabbia che provoca maltrattamento è l’esistenza stessa del bambino…
    “Ti calpesterò il cuore con gli zoccoli del mio cavallo e farò una poltiglia del tuo cervello!”
    Così Maddalena si trova ora sola, in un’enorme casa vuota d’amore, ma affollata di rumori, di segreti e di fantasmi del passato… che tornano nei pensieri, nei ricordi e nelle domande. Domande che bussano alla porta dell’animo ben chiusa, a nascondere ricordi troppo duri da accettare che Maddalena ha da sempre soffocato dentro di sé.
    Ma villa Hamlet è piena di indizi, per chi voglia infine cercare e capire…
    I segni della follia della nonna che, attrice, tutti chiama con i nomi delle opere di Shakespeare; le tracce dell’astio della madre per la morte del fratellino che avrebbe preferito a lei, e che le ha impedito di crescere; la stanza ferma nel tempo dell’infanzia dello zio dalla personalità distorta, causa rimossa di turbamenti che ancora le soffocano il cuore, come le sue inconsapevoli gelosie… come il ricordo del delitto di una giovane amica per cui sarà accusato un innocente…
    “Me misera, che ho visto quel che ho visto, e vedo quel che seguito a vedere”
    Riaffiora così una passione infantile, giochi proibiti, nell’atmosfera gotica che fa da sfondo a una famiglia perversa, per una “fiaba d’inquietudine e ombra”…
    Antonella Lia, che fra l’altro ha lavorato nelle unità socio-psico-pedagogiche del Provveditorato agli Studi di Napoli, ci tiene subito a precisare che “ogni riferimento a persone esistenti o fatti realmente accaduti è puramente casuale”… ma come non pensare che questo triller è solo un nuovo abito con il quale Lia riveste storie e dinamiche che ben conosce.
    In Italia la violenza “è” domestica, ricorda sempre, e può celarsi nel quotidiano non solo di famiglie che vivono nell’emarginazione. Anzi, quanto più normale è la famiglia, più subdola è la violenza. E ancora ci invita, Lia, a sfidare tabù millenari, non chiudendo gli occhi sulla violenza quotidiana, e quella psicologica non è meno grave di quella fisica, di cui sono vittime i bambini.
    “Cercando Ofelia”. Un puzzle, in cui ogni tessera può essere letta come la pagina di un breviario che ci aiuta a capire che “per connotare l’orrore non servono elementi soprannaturali, omicidi misteriosi, creature aliene o mostri… basta ad esempio confondere le menti dei bambini. Alcune famiglie ci riescono talmente bene che la patologia dilaga oltre le generazioni”.
    Cercando Ofelia, dunque, e la mistificazione che è all’origine del male…
    Per stupirci e scandalizzarci un po’ meno davanti a tanta terribile cronaca… e provare piuttosto a scalfire la nostra ostinazione a non voler intaccare “certezze”. A non voler vedere il male profondo, radicato dentro di noi… le relazioni tossiche che tanti drammi produce. Più drammi e vittime della “minaccia” sventolata dal tanto urlare preelettorale di chi ci vuole ben rinserrati dietro finestre chiuse, magari “legittimamente” armati fino ai denti… dimenticando quante vittime fanno mostri nati fra le pareti di casa. Mostri con la faccia candida degli angeli…

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