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    Alberi di canto…

    alberi di cantoAlberi di canto, il festival che a Maranola, alle porte di Latina, ritorna per il sesto anno… appuntamento di metà aprile con alberi e frutti dimenticati… quest’anno Peppe Servillo e l’ensemble Polifonia Aurunca interverranno insieme ad Annarita Persechino che curerà il percorso letterario con “Il racconto dei gelsi”, che anche a noi oggi ( e davvero la ringraziamo) ha voluto regalare… ascoltate…”Morus alba”…

    “Il gelso era ed è ancora una presenza nelle antiche masserie aurunche. Questa pianta dona un fascino mistico alla masseria, sembra quasi che le dia un nome, una identità, una voce, una luce. Crea un ponte fra la vita di oggi a quella rurale di ieri. Nella zona aurunca, alcune masserie avevano ed hanno l’albero di gelso, piantato in funzione di meridiana. I contadini dalla sua ombra leggevano l’ora e dai colori del tramonto che penetravano attraverso le fronde leggevano il meteo del giorno dopo. Non solo, ma anche dal fruscio delle fronde, riuscivano a capire se era in atto una tempesta o il tipo di vento che stava per arrivare. Nei momenti di calura si ritrovavano sotto la sua ombra e vi si intrattenevano fino al pomeriggio tardo. Quando il caldo si era alleviato, tornavano nei campi per continuare i lavori quotidiani. All’ombra dei gelsi raccontavano storie, aneddoti, fiabe e indovinelli; ponevano ombrelli colorati capovolti sui rami per raccogliere i frutti. L’ombra del gelso era preziosa per tenere in fresco l’acqua messa in una cannata, che è anfora di terracotta, poggiata sul tavolo, calmava le ansie dei piccini e i grandi si divertivano a narrare mentre con le mani sgusciavano i legumi dai baccelli.
    Ho tanto amato questi momenti che sono stati anche ricordi della mia infanzia, che ne sono nati versi… ve ne leggo solo alcuni…
    Con soffi di voce
    Nonna radunava
    Piccoli e grandi
    Con fili di malva rosa
    Dissetava
    La trama avvolgeva
    Or di fiaba or di favola
    A ritmo del fruscio di fronde

    Numerosi miti e leggende vagano intorno all’ombra del gelso. Nelle Metamorfosi di Ovidio viene narrato l’amore eterno di due innamorati, Tisbe e Piramo che anticipano l’amore di Romeo e Giulietta di Shakespeare. Tisbe e Piramo erano due giovani babilonesi innamorati, ostacolati negli incontri dai loro genitori. Così i due manifestavano il loro amore con piccoli sussurri attraverso una lieve fessura del muro che separava le loro case. Dopo un lungo periodo, gli amanti riuscirono a escogitare uno stratagemma per pianificare i loro incontri. Una sera d’estate dovevano incontrarsi nei pressi di una fonte all’ombra del gelso bianco. Tisbe all’appuntamento arrivò per prima, ma una leonessa che si aggirava di lì la spaventò e la ragazza fuggì, lasciando cadere il proprio mantello. Piramo, giunto poco dopo, trovò il mantello macchiato di sangue, credette che l’amata fosse morta sbranata da una belva, e si uccise con il suo pugnale . Tisbe ritornata dopo poco sul posto vide il corpo senza vita dell’amato e si uccise . Il sangue dei due sfortunati amanti scorse sulle ombre e le radici del gelso. Da allora la nigra mora prima di maturare diventa rossa. Per amore e per sangue.
    Il sangue e la morte sembrano essere il filo conduttore che accompagna il gelso e i suoi frutti anche nella poesia del novecento, in special modo in Giuseppe Ungaretti.
    Il poeta, soldato nella prima guerra mondiale, nella poesia “ San Martino del Carso, sotto il titolo mette l’indicazione inequivocabile di un luogo e una data: Valloncello dell’Albero Isolato, 27 agosto 1916…

    Di queste case
    non è rimasto
    che qualche
    brandello di muro.

    Questi versi furono scritti dal giovane Ungaretti vicino alla sola pianta che sarebbe rimasta in piedi sul campo di battaglia e che segnava il confine tra il campo dell’esercito austroungarico e quello italiano.
    Nessuno albero mai ha assunto tanto valore simbolico come questa pianta, al punto da diventare monumento storico che gli ungheresi tagliarono e portarono in patria come una reliquia, traforato da colpi e bombardamenti. L’albero era appunto un gelso, piantato in terra di nessuno, in uno scenario funesto di macerie. Anche qui con frutti, caso mai ci siano stati, da pensare rossi di sangue.
    Ci auguriamo che tutti i gelsi rigogliosi che attualmente crescono in Palestina riescano ad evitare per primi il colore rosso del sangue delle vittime.
    L ‘ombra del gelso si stende non solo su luoghi pieni di dolori, ma anche su luoghi sacri, diventando simbolo di pace, preghiera e serenità. Infatti sul monte Massico degli Aurunci, ai confini con la Campania, troviamo il santuario della Madonna del Gran Gelso. Così chiamata perché presso la porta della Cappella di costruzione recente vi era un gelso secolare piantatovi molto probabilmente dal fondatore dell’eremo. Quella denominazione venne di poi, dagli oratori sacri, cambiata nella vera e propria attribuzione di grande ed eccelsa.
    Quindi, dal grande gelso derivò misticamente il titolo teologale: Grande per la grazia della elezione a Madre di Dio, Eccelsa per la divina potenza, di cui Dio l’ebbe arricchita”. (da Salvatore De Simine “Epopea Storica Liturgica-Dogmatica di Maria Santissima di Monte Eccelso”)
    Nel 1200 l’ordine della Santissima trinità fondato da Giovanni Matha, si trasferisce dal Golfo di Gaeta in un luogo più raccolto , all’interno dei monti Aurunci, esattamente sul monte Massico. Li’ costruirono un dormitorio ,davanti piantarono un albero di gelso bianco che crebbe in breve tempo, rigoglioso ed alto, simbolo di fede e pace.
    Sicuramente la simbologia del gelso aurunco davanti alle masserie nasce da questo antico luogo sacro”.

    Annarita Persechino

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