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    Quando gli zingari avevano le ali

    rom1E’ già qualche settimana che il Gatto, dopo i suoi giretti quotidiani, rientra guardandomi con aria un po’ smarrita, e poi subito va a rincantucciarsi sotto il tavolo, pensoso… Ma ieri (si vede era stanco di tenere per sé tanti pensieri…) mi ha chiesto: “Ma dove sono andati? E’ un po’ che non li incontro… sembra si siano dissolti nell’aria… una brutta aria…”
    Non c’è voluto molto a capire che parlava delle nostre “zingarelle”, con seguito di figliolini… che la mattina si andavano a sedere qua e là sui marciapiedi, fra una strada e l’altra, fra uno slargo e una piazza. E’ vero, l’avevo notato anch’io… perché spesso con qualcuna scambio parole, e una delle loro bambine, Marianna, quasi l’avevo vista nascere, e l’ho seguita crescere e sempre vedendomi mi sorride… che è cosa (incontrare qualcuno che ti sorrida con l’accogliente stupore di un bambino) che fa sempre bene all’anima…
    Certo già altre volte si erano assentati, seguendo gli spostamenti dei loro gruppi, quando volontari… quando suggeriti dai primi rumoreggiar di “pulizie”, “sicurezza”, “allarmi”… quando costretti dagli sgomberi, che sempre violenti e indecenti si sono susseguiti (e se volete sapere delle ultime vicende, andate a leggere quanto accade ad esempio al Camping River, Roma… ). Eppure sempre erano ritornati, le donne e i loro bambini, qualche uomo… ad occupare lo spazio accanto a quell’albero, a destra del semaforo, sotto l’arco del piazzale, ai piedi della statua di san Francesco…
    Ma stavolta, concordo con il Randagio, c’è qualcosa di più grave, di più cupo… Fino a qualche giorno fa, dietro l’angolo di casa nostra, era rimasta, appoggiata al muro, la cassetta della frutta che faceva da sgabello. Ora è scomparsa anche quella. Mentre una cara amica (altro quartiere, altri turbamenti…) mi ha raccontato: “Da tempo incontravo al mercato una giovane donna, sinti ci teneva a dire… la stavo aiutando ad avere il rinnovo del permesso di soggiorno… dovevo darle dei bollettini… ma è scomparsa… Ma sai che proprio qualche tempo prima una signora del mio palazzo mi aveva apostrofato dicendo… l’ho vista! lei parla con le zingare… per fortuna che adesso c’è Salvini”…
    Davvero insuperabile, questo signore, quanto a capacità di compendiare in sé, e invitare a tirarlo fuori legittimando l’odio razziale, tutto quel che di ostile all’uomo è nell’animo dell’uomo.
    Oggi, passando e ripassando lungo le strade di sempre. Stessi negozi, stesse auto, stessi rumori, stessa gente… che non riempiono il vuoto delle assenze, ma svelano tanto sporco nitore… ché non è facile tirar linee per mettere quelli “buoni e puliti” da un lato e quelli “sporchi e cattivi” dall’altro… se capita di imbattersi in notizie come quella che anni fa mi colpì tanto che mai posso dimenticare: fiori nel fango, l’avevano chiamata, l’operazione di polizia che ha salvato da un giro di pedofili più di duecento bambini e nella maggior parte dei casi i bambini violentati erano rom, adescati ai semafori con pochi soldi. La rete di pedofili, italiana… qualcuno, come si dice, con precedenti, qualcuno, come si dice, insospettabile… e chiudo la parentesi.
    Guardando il vuoto, e pensando ai rom, sinti, camminanti, quelli che tutti insieme liquidiamo come “zingari” (tanto, che differenza c’è?)… pensando ai mendicanti che nelle lustre piazze del centro vedo sempre meno (mentre i dati dicono che la povertà aumenta)… mentre più in là, persone vengono buttate in strada, come rifiuti (vedi lo sgombero, a Roma, dei 120 rifugiati sudanesi dallo stabile dove abitavano da anni)… pensando alle persone, di tutte le presunte razze che non appartengono alla presunta nostra italica, in questo momento nella scomoda posizione di bersagli del “fascileghismo” nostrano che vuole schedare, buttare fuori, punire, allontanare…
    Un vuoto ( di umanità e di diritto, anche) che il “decoro”, cui da un po’ ci si appella, non riesce a colmare, e diventa a volte vertigine. Dà una strana sensazione, come di camminare sul bordo di una voragine…
    “Il mondo è complesso… mentre l’impressione – mi ha confidato il Randagio- è che stiamo andando verso un sistema chiuso che raggela. Sistema autoritario, che è l’esatto contrario di quello democratico, che è sistema aperto. Nessuno circolarità delle informazioni, imposizione ideologica, un processo statico, che si fonda su informazioni prestabilite non modificabili dallo scambio con l’ambiente… come il no ai migranti indipendentemente dai dati variabili degli arrivi… Vogliamo parlare della teoria della complessità?”
    No, no!. Per ora basta, approfondiamo un’altra volta.. Riesco a vederla anch’io la gabbia nella quale, tenendo fuori tutti gli altri, finiremo per imprigionare noi stessi… mentre su tutto sembra calare una monocroma cortina di fumo grigio… e presto neanche più ricorderemo di quante sfumature sono composti i colori del mondo…
    Ma per ora, qualsiasi cosa ne pensiate, un’immagine colorata ve la voglio regalare. Me ne riempivo gli occhi ogni mattina, quando prendevo tutti i giorni il trenino che da Roma porta verso la periferia nord. Ve lo assicuro, di tutto il via vai era la scena più bella…
    Arrivavano con le prime corse della mattina. In gruppi di dieci, dodici, e anche di più. Scendevano dai vagoni lanciandosi fra loro poche parole. Più spesso in silenzio. Gli occhi che frugano lontano. Anche, sospetto, nel tempo, ma non so se sia il passato o il futuro, quello che vedono. Gli uomini, vecchi e giovani… le loro donne, molte di più, tutte, vecchie e giovani, con i bambini. Spinti in carrozzelle, tirati per mano, avvolti in stracci annodati al collo. Ti aspetti che scompaiano nel fiume dell’altra gente, che corre via in fretta, ognuno già incupito del giorno che verrà. Invece ecco che prima di inoltrarsi verso l’uscita della stazione le donne si fermano. Come a un comando dell’anima, in un movimento che è coreografia di passo di danza, tutte insieme ruotano verso il muro in fondo alla stazione, dove c’è una cappelletta. Mezzo giro di gonne, un inchino, il segno della croce e un bacio alla Madonna. L’alito di una preghiera che resta un attimo sospeso nell’aria. Sospese anche loro, quelle donne, con le gonne a un soffio da terra, come ai tempi in cui avevano le ali (leggete “Magia degli zingari” di Charles Godfrey Leland, che molto spiega…)
    Non so se ancora è possibile incontrarli in quella stazione, è tanto che non la frequento. Certo sono giorni e giorni che non vedo “zingari” neanche in metropolitana… e nell’attesa che dati certi mi smentiscano, preferisco pensare che abbiano cambiato linea, piuttosto che siano fuggiti per lasciare spazio a tutto questo nostro affannato rancore…

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