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    Venezia da salvare. Dalle acque e dall’ingordigia degli uomini.

    bella foto... sembra un quadro...“Che tristezza…, ricordi?” mi ha scritto Monica, Monica Murru, mandandomi una foto di “Acqua Alta”, la leggendaria libreria di Venezia, che lo scorso settembre, di ritorno dal festival della lettura di Pordenone, siamo andate a visitare…

    Che tristezza… pensarne gli scaffali, le vasche, la splendida gondola incastonata nel centro dello stretto locale, carica di tutti quei libri ora ingoiati dalle acque… Simbolo, quella gondola, dei libri che resistono a tutto, anche all’acqua, se la barca sempre rappresenta, insieme al viaggio, la sicurezza, ché aiuta ad attraversare della vita anche le tempeste.

    nella libreria...E torna il ricordo di un’altra barca, il “barchino” che, scivolando dal suo approdo, in un canale alle spalle di San Barnaba, si è tante volte spinto insieme ad altri, in cortei di protesta, fino sotto le grandi navi che ogni giorno, come mostri prepotenti e ingordi, oscurano l’orizzonte sul Canal Grande e ne agitano le acque. Il “barchino” di Angelo Marzollo, veneziano per nascita, europeo per lavoro… ve ne voglio parlare, perché è tra le persone che tanto per la sua Venezia si batte. Il suo piglio, le sue braccia da vogatore (e voga ancora nonostante il passare del tempo e delle età), il profilo del suo volto, che sembra uscito da un quadro di Tiziano…
    Vecchio combattente, simbolo della Venezia che non si arrende, Marzollo, che è stato ordinario di Teoria matematica dei sistemi, in Italia e in Francia, è stato anche responsabile dei progetti dell’Unesco “Ecosistema lagunare veneziano” e “I canali interni di Venezia”. Bisognerebbe leggere qualcuno dei suoi scritti, per capire quello che succede a Venezia, al di là degli strepiti e dei rimpianti, e dell’accapigliarsi sulle “grandi opere” che finora di grande hanno prodotto solo sprechi, corruzione e danni… e con lui imparare quello che anche il passato può insegnarci…
    “Quando fur grandi le tue mura il sai,
    Venetia, hor come le s’attrovan vedi:
    e s’al periglio lor tu non provvedi,
    deserta e senza mura rimarrai.
    Li fiuli, l’mar, e gl’huomeni tu hai che inimici…”
    Ricorda, Angelo Marzollo, il famoso sonetto del grande ingegnere idraulico della Serenissima, Cristoforo Sabbadino, che nel Cinquecento scrisse questi versi, attualissimi, se oggi come allora “l’urgenza è salvare Venezia dal mare e dai fiumi, e soprattutto dalle voglie ingorde degli uomini”.
    In un librettino scritto per un’agile accurata collana (“Occhi aperti su Venezia” Corte del Fontego editore), “Lo stato di Venezia”, Marzollo attraversa le vicende degli ultimi cinquant’anni, per rispondere alle domande che amici stranieri (e anche noi italiani) sempre gli fanno: cosa è accaduto dopo l’alluvione del ’66? Vi ha salvato il Mose dalle acque alte? Sopravvivete all’invasione del turismo?
    E così, nel cercare risposte, ci rinfresca la memoria sull’erosione dei fondali seguita alla realizzazione del Canale dei Petroli, escavato per fare transitare le grandi petroliere fra il porto di Malamocco e l’area industriale di Marghera, che le mobilitazioni popolari e culturali non riuscirono a fermare; sulla triste “profezia” dello studio che anni fa avvertiva che il Mose “sarà comunque obsoleto quando l’aumento del mare ( maggiore di quello previsto quando fu progettato) supererà la soglia di tolleranza garantita per questo sistema di barriere mobili” (“ma la faccenda è stata politicamente blindata” e solo danni finora ha fatto)… per arrivare al quotidiano incontrollato traffico motorizzato sull’acqua… e poi gli scandali, la corruzione, l’ingordigia degli investitori…
    La sua bella Venezia… meta ambita dal mercato e da un turismo frettoloso, e un po’ ignorante, che sembra così cantarne la morte, la morte anche del mare che della città era sempre stato la ricchezza. Turisti che pensano che “apprezzare Bellini sia degustare l’aperitivo omonimo”, che “il nome di Carpaccio indichi solo il piatto di sottili fette di carne”…
    “Che bello questo fiume Arno”, si è sentito dire Angelo da un’autorità straniera in visita all’Italia.
    Bisognerebbe, noi “foresti” ascoltare tutto quello che lui e persone come lui hanno da dire. Su Venezia, la sua acqua, le sue pietre…
    “Il ponte di debole costituzione”, ad esempio, è altro illuminante libretto della collana cui accennavo, questo di Nelli-Elena Vanzan Marchini, anche lei veneziana, specialista della storia della “città anfibia”, che, parlando del ponte di Calatrava, diventato “pietra dello scandalo per i costi, i ritardi, gli errori tecnici della sua realizzazione, proprio nella città dei ponti”… ci dà una bella lezione su che significa governare, facendo un confronto ravvicinato fra Rialto, “simbolo della città anfibia che grazie ai ponti ha trasformato l’arcipelago in città”, e il ponte, poco praticabile diciamo la verità, della famosa archistar…
    Rialto, ci spiega, fu realizzato dopo un lungo confronto politico, accompagnato dal dibattito di commissioni tecniche e di valutazioni pratiche da parte dei Provveditori alla fabbrica del ponte che, pensate un po’, “non avevano esitato a cassare i progetti di mostri sacri dell’architettura rinascimentale come Andrea Palladio e Michelangelo”. La scelta cadde su Antonio da Ponte “per la sua conoscenza della tradizione e del contesto veneziano… e per la capacità di sintetizzare tutti i dati tecnici ed estetici acquisiti dai Provveditori alla fabbrica nella valutazione delle idee e dei modelli dei molti concorrenti”.
    Quanto avremmo da imparare dal buon governo della polis che ha prodotto il ponte di Rialto, “emblematico esempio – parole di Vanzan Marchini- dell’esercizio della politica che, nel senso proprio e più nobile del termine, utilizza al massimo i propri strumenti per creare una struttura funzionale ai bisogni e alle aspettative dei cittadini”. Esattamente tutto quello che negli ultimi tempi non è stato e di cui ci sarebbe tanto bisogno… E non solo per Venezia…
    L’esercizio della politica nel senso più proprio e nobile… sarebbe, questa sì, la barca in grado di portarci in salvo (noi dell’Italia tutta). Come un vascello pur sballottato dalla tempesta “sul quale fa piacere trovarsi- cito Pascal- quando siamo sicuri che non affoghi”.

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