Il viaggio di Marco Cavallo nei Cpr

Il 6 settembre parte da Gradisca Il viaggio di Marco Cavallo nei Cpr….

Sentite quello scalpiccio di zoccoli? E’ Marco Cavallo, che freme inquieto. E sente urgente la necessità di riprendere il galoppo per arrivare davanti ai nostri Centri per il rimpatrio, e lanciare nitriti. Per denunciarne l’orrore.
E già, chi meglio di Marco Cavallo che è simbolo della chiusura dei manicomi, e più in generale della lotta alle istituzioni totali.

Per chi non ne conosce la storia, brevemente
Marco Cavallo è un grande cavallo alto 4 metri, realizzato cartapesta e legno, ideato agli inizi degli anni Settanta nel laboratorio teatrale del manicomio di San Giovanni a Trieste, allora diretto da Franco Basaglia. Un’enorme struttura dipinta d’azzurro, con una grande pancia, nella quale gli ospiti del manicomio inserirono biglietti con i loro desideri. Immaginate… una sciarpa rossa, un burattino, del mangiare buono… la Rosina vestita da regina… Desideri, tutti, che parlavano di vita.
Il 21 gennaio 1973 fu portato fuori dal manicomio con al seguito le persone internate, i medici, tutto il personale…
Il corteo attraversò Trieste, per vessillo colorate bandiere fatte di stracci, e segnò la storia. Anche perché per poter fare uscire Marco Cavallo dal manicomio, alto com’era, raccontano che bisognò abbattere muri. Furono sfondate alcune porte e un architrave, tanto per cominciare. Ma furono soprattutto i muri simbolici che così iniziarono a crollare, muri che innalziamo nelle nostre menti e nei nostri cuori, per segnare divisioni fra il dentro e il fuori.

Da quando ne ho conosciuto la storia ho sempre pensato Marco Cavallo come una sorta di cavallo di Troia all’incontrario. Simbolo di libertà, contro tutti gli orrori di quei luoghi nei quali vogliamo rinchiuso chi, per un motivo o l’altro, “non ci piace” e vogliamo tenere lontano da noi. Come sono oggi i Cpr, acronimo per Centri per il Rimpatrio. Luoghi dove rinchiudiamo migranti.
Oggi in tutta Italia ci sono 10 Cpr. Nati nel 1998 con la legge Turco-Napolitano, che ha introdotto il concetto di detenzione amministrativa. Non accadeva dai tempi del fascismo…
Si chiamavano allora CPT (Centri di Permanenza Temporanea), con la Bossi-Fini all’alba del 2000 divennero CIE (Centri di Identificazione ed Espulsione), con la legge Minniti-Orlando hanno preso l’attuale denominazione. Nomi diversi, lo stesso orrore, con l’aggravante che con il tempo si sono allungati per suoi “ospiti” i tempi di permanenza. Che sono via via aumentati dai 30 giorni iniziali ai 180 giorni previsti oggi con il cosiddetto “decreto sicurezza”.
Cpr, centri per il rimpatrio, dunque. Nome che, a ben guardare quello che succede, è ipocrisia, è beffa… Delle persone che vi vengono rinchiuse, per mancanza di documenti e con procedimento di espulsione in corso, in realtà solo una piccola parte viene poi davvero allontanata dall’Italia…

E come poteva il Forum della Salute Mentale, che a suo tempo tanto si è battuto per la chiusura degli Ospedali psichiatrici giudiziari e davanti agli OPG era andato a manifestare al seguito del Cavallo azzurro, essere indifferente allo scandalo dei Cpr? Strutture che, per tanti aspetti, ricordano gli OPG, ma che dal punto di vista umano sanno essere ancora più crudeli. Qui sono rinchiusi, in carceri che sono peggio delle carceri, persone il cui “reato” è stato varcare un confine, spinti da guerre, difficoltà economiche, dal desiderio, legittimo, di una vita migliore. Migranti colpevoli di “desiderio di vivere”.
Chi li ha visti, chi vi è potuto entrare, parla di Lager, di strutture pseudomanicominali. Vi ci si può essere imprigionati, in attesa di essere rimandati nel paese d’origine, anche solo per un permesso di soggiorno che non si è fatto in tempo a rinnovare…
E anche se vi si arriva “sani”, al netto per chi è appena arrivato in Italia dei traumi subiti nei viaggi affrontati per attraversare mari e deserti, difficile lì dentro mantenere un normale equilibrio psicofisico. Immaginate quanto devastanti gli effetti di questa reclusione: si arriva a crisi di autolesionismo, ci si ammala (anche nel fisico per via delle impensabili condizioni igieniche), c’è abuso di psicofarmaci, ci sono tentativi di suicidio, ci sono suicidi, pure si muore…

E non c’è bisogno di essere medici o psichiatri per capire. Basta un po’ di capacità di immaginazione, di immedesimazione, meglio… e chiedersi come si possa mantenere un equilibrio mentale trovandosi all’improvviso, senza capire il perché, senza aver commesso alcun reato, in un carcere, in luoghi di violenza, abbandono e arbitrio. Perché questo sono i Cpr. Luoghi che calpestano i diritti, persino più del carcere. Luoghi fuori dal diritto, oltretutto il primo caso in Italia di detenzione affidata a privati. Lo testimoniano le denunce, le inchieste, i procedimenti penali in corso…
Così al seguito di Marco Cavallo il Forum della Salute Mentale ha deciso di organizzare un viaggio di denuncia davanti a tutti i Cpr che si riuscirà a raggiungere.
Una sorta di anteprima del viaggio c’è già stata a Torino, dove a fine marzo, nonostante le polemiche, è stato riaperto il centro chiuso due anni fa dopo un incendio scoppiato in seguito a una rivolta.

Il viaggio “ufficiale” di Marco Cavallo partirà a settembre. Il 6 del mese la prima manifestazione a Gradisca d’Isonzo. E possa essere di buon auspicio la notizia arrivata proprio da Gradisca poco prima di Pasqua: è passata in consiglio comunale la richiesta di chiusura del Cpr locale (per la cronaca con voto a favore di tutta la maggioranza più due civici di opposizione!).
Il via il 6 settembre, dunque, dal centro friulano per poi proseguire per Milano, verso il centro di via Corelli, quindi a Ponte Galeria, a Roma. E si andrà oltre. Il progetto prevede l’arrivo a Palazzo San Gervasio, in Basilicata, poi in Puglia… e via via fin dove si riuscirà ad arrivare… Richieste stanno arrivando da altre parti d’Italia. Dalla Sardegna, anche, da Macomer, in provincia di Nuoro, dove il Centro per il rimpatrio è in quello che fino al 2014 era stato carcere di massima sicurezza, poi chiuso “per assenza di parametri legali minimi previsti per le istituzioni penitenziarie”, e in qualche modo rimodellato…

Insomma, Marco Cavallo attraverserà l’Italia toccando questi luoghi dell’orrore contemporaneo. Sfilerà in silenzio con chi lo vorrà accompagnare davanti ai centri, e si fermerà nelle strade e nelle piazze intorno per parlare a chi vorrà ascoltare.
E chiamiamo tutti a partecipare, a venire ad ascoltare. Anche perché fra gli obiettivi del viaggio c’è anche quello di cercare di cambiare la narrazione ufficiale che ci parla di luoghi nati per “la nostra sicurezza”, per l’allontanamento di persone presunte pericolose, e quant’altro… Ma è solo propaganda politica che nulla ha a che fare con la realtà. Nei Cpr non entrano persone che abbiano commesso reati (se non raramente o comunque in misura minima rispetto al numero delle persone recluse), uomini e donne che non hanno alcun profilo di pericolosità… a volte si entra per caso, mentre le narrazioni ufficiali legittimano indifferenza e violenze inaccettabili.
Marco Cavallo, con i tanti che hanno già aderito all’iniziativa (qui potete trovarne l’elenco, e volendo, aggiungervi, https://www.news-forumsalutementale.it/il-viaggio-di-marco-cavallo-nei-centri-di-permanenza-per-il-rimpatrio/), raccoglierà le storie delle persone rinchiuse, pronuncerà nomi… Ha un messaggio importante da portare nelle piazze anche per scuotere dall’indifferenza, perché la decenza, la civiltà, il rispetto dei diritti umani… sono responsabilità di tutti…

Da quando mi sono messa in ascolto di chi racconta e denuncia ciò che accade nei Cpr, le parole che più ritornano sono: psicofarmaci, violenza, abbandono.
Tre parole che sono tutte racchiuse nella terribile vicenda di Wissem Ben Abdel Latif, il ragazzo tunisino sbarcato a Lampedusa nell’ottobre del 2021 e morto meno di due mesi dopo, sedato e legato per cinque giorni consecutivi a un letto di contenzione nel reparto psichiatrico dell’ospedale San Camillo di Roma. Morto senza che nessuno gli facesse avere la notizia che era stata sospesa l’esecutività del provvedimento di respingimento e di trattenimento presso il Cpr di Ponte Galeria, e che quindi avrebbe dovuto essere rimesso in libertà. Sembra una storia estrema ma non lo è, e tutte le rappresenta. Crimini di pace…

Marco Cavallo guiderà le manifestazioni che si terranno a ridosso dei Centri per chiederne la chiusura, ma per chiedere anche il superamento della detenzione amministrativa, che tanti orrori sta producendo, con la sua “violenza normalizzata”, come è stato detto.
Ma cercherà, Marco Cavallo, anche di farsi ascoltare da chi è rinchiuso di là dai muri dei Centri.
Sperando riesca a fare arrivare a chi vi è rinchiuso un messaggio di accoglienza e di umanità. Un messaggio di liberazione.

La libertà è terapeutica, si iniziò a dire negli anni Settanta… ed è vero anche oggi, ne siamo convinti. Per tutti. Anche per chi pensa di essere al sicuro al di qua dei muri nei quali chiudiamo chi la propaganda ufficiale vuol far credere sia altro da noi…

scritto per Voci di dentro




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