Bogotà. Ne leggevo recentemente su una rivista di urbanistica, a proposito delle trasformazioni che ne hanno fatto un modello di pianificazione per città del Nord e del Sud del mondo. E la prima reazione è di stupore: come è possibile, per la metropoli capitale di uno degli stati più pericolosi del pianeta? Certo, si spiegava nell’articolo, “non aiuta che la Colombia sia ancora percepita soltanto come la magica Macondo di García Márquez o come la pericolosa patria dei narcos”, e su questo mi sono anch’io un po’ arrovellata… finché un incontro ha aperto anche per me una finestra su un orizzonte altro…
La Colombia l’ho incontrata lunedì scorso nei volti gentili di Olga e Tania. Olga Lucia Diaz Rodriguez, e Tania Gisela Angel Pinzon… “I nomi a quelle latitudini sono lunghissimi”, fa sorridere Remo, Remo Marcone, che nella sede della sua associazione, Amistrada, le ha avute ospiti a Roma. Dove Olga e Tania sono venute per parlare dei progetti di Creciendo Unidos, la fondazione che, da più di un quarto di secolo vicina alla popolazione vittima del conflitto armato colombiano, si occupa dei bambini lavoratori di Bogotà e Cucuta. E se ne occupa con un approccio decisamente nuovo e, diciamolo pure, fuor da ipocrisie: aiutare bambini e adolescenti ad essere protagonisti della loro vita, accompagnandoli in un cammino educativo, ma partendo dal riconoscerli come lavoratori e come soggetti sociali.
Tania ha appena quindici anni e a vederla e sentirla, col suo viso pulito, la sua compostezza retta, la sua eloquenza, il piglio maturo, la pensi bambina e la pensi adulta…
Racconta, Tania, la sua storia di bambina lavoratrice. Potrebbe essere la stessa di infiniti altri, e fa rabbrividire, e un po’ vergognare, di tante nostre mollezze… Tania lavora da quando ha sette anni, all’inizio insieme con la madre, a riciclare materiali dai rifiuti. Potete immaginare… la raccolta nelle zone ricche di Bogotà, poi il lavoro a casa, a separare quello che è da buttare da quello che si può recuperare… un lavoro che andava dall’una del pomeriggio alle tre della notte. E mentre parla sulla parete alle sue spalle compare, nello scorrere delle diapositive, l’immagine della facciata della sua casa, un patchwork di pietre e legni e colori. In un angolo in basso a destra, il bianco della ceramica di un water, utilizzato come fioriera. Perché tutto si impara a saper riciclare…
E c’era poi anche il lavoro di venditore ambulante. Lei, Tania, il suo piccolo commercio lo faceva anche a scuola, durante l’intervallo. Ma anche lì la concorrenza è tanta, perché sono tanti i bambini che fra una lezione e l’altra cercano di vendere a qualcuno qualcosa…
Oggi, nella Fondazione Crescere Uniti, che l’ha aiutata a non morire di quella vita, Tania è portavoce, e che brava portavoce!, delle organizzazioni dei bambini di Bogotà. Vuole continuare a studiare, lingue, dice, e vuole diventare psicologa, e sicuramente ce la farà.
A vederla e sentirla parlare, ora che è “grande”, della filosofia così alternativa della sua fondazione, viene da pensare ad altri ragazzini, che di questi tempi ad altre latitudini pure fanno sentire la loro voce, a scuotere il mondo adulto dalla colpevole indifferenza di troppi…
“Vien da pensare, commenta Remo, a… il mondo salvato dai ragazzini”. E credo abbia proprio ragione…
Accanto a Tania, Olga. Che è educatrice e anche lei racconta, racconta…
Dei bambini reclutati dalla guerriglia e di quelli reclutati dalle organizzazioni del narcotraffico, e di chi si è salvato e di chi per sempre si è perso… dei bambini che sono venditori ambulanti o lavorano nei cimiteri, a ripulire le tombe dalle erbe per chi lo chieda loro. E ai ragazzini colombiani si aggiungono quelli venezuelani delle migrazioni dell’oggi, che tanti il confine con la Colombia continuano ad attraversare…
Nei centri della fondazione, si cerca di dare ai ragazzi un’educazione scolastica e una qualificazione tecnica, e soprattutto fornire loro strumenti per esigere l’applicazione dei loro diritti.
La grandezza di quello che persone come Tania e Olga riescono a fare “non la si può capire se non si capisce che tutto questo avviene in un contesto di estrema violenza”, lo ha ben spiegato Emanuele Profumi, che è ricercatore, giornalista e della Colombia ha conoscenza diretta e piena. E’ autore fra l’altro di “Colombia la pace è nostra” (che a questo punto andrò a leggere), un libro che ripercorre gli ultimi settant’anni di storia del paese sudamericano, un paese dove lo 0,4% della popolazione possiede il 60% delle terre, dove le comunità indigene e le organizzazioni dei campesinos, che vivono in un modello alternativo di gestione delle terre, sono per questo sempre sotto minaccia sia dell’esercito che degli ex-paramilitari. Fra l’altro Profumi racconta di come in Colombia la società civile abbia cercato di arrivare a una pace integrale che andasse oltre il semplice accordo tra la guerriglia e lo Stato…
Ma appena ieri abbiamo letto delle comunità minacciate, dell’attentato alla Guardia Indigena (https://www.remocontro.it/2019/03/30/minga-indigena-in-colombia-come-i-sioux-pellerossa-sterminio-oggi/), dell’esperienza di resistenza non violenta al conflitto armato della comunità di pace di San José de Apartado… Tante le difficoltà di chi vuole costruire la pace, quella vera e che riguardi tutti. La violenza è ancora enorme…
Eppure, altrettanto enorme è la fiducia nel futuro che si legge negli occhi di Tania e Olga, mentre spiegano come si costruisce la partecipazione attiva e il protagonismo di niños y niñas y adolescentes… di tutti i ragazzini che si ritrovano nei centri messi in piedi nei municipi delle regioni del nord di Santander, Risaralda, Chocò e di molte località dell’immensa Bogotà… la stessa fiducia, immagino, del sindaco del quale leggo nell’articolo della rivista di urbanistica cui accenno all’inizio, che, in segno di protesta contro la violenza, ha fatto realizzare cucchiaini per le mense scolastiche fondendo armi… la stessa fiducia degli artisti che hanno pavimentato una piazza, intorno alla quale sono andate ad abitare circa 400 famiglie fuggite dalle loro terre per via della guerra, con il disegno di una grande foglia che pronuncia la parola “VIDA”… nella stessa Bogotà dove, nel cuore di uno slum, qualche tempo fa un campo sportivo è diventato “il bosco della speranza”…