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    L’altra Shoa


    Operazione T4, il nome del progetto di eliminazione sistematica di malati di mente, portatori di handicap, persone affette da malattie genetiche… Uno sterminio del quale poco si parla, quello delle persone disabili, vittime troppo spesso dimenticate, come i rom, gli omosessuali, i testimoni di Geova… Eppure, tutto è cominciato ancora lì, nella Germania nazista.
    Frugando e cercando per saperne qualcosa di più, mi sono imbattuta anni fa nel sito documentatissimo, che purtroppo ora vedo non più attivo, dell’associazione Olokaustus, e con l’allora suo presidente, lo storico Giovanni De Martis.
    Riprendendo dagli appunti di quella conversazione, che molto mi ha insegnato in proposito…
    Intanto, a leggere lo sterminio dei disabili soprattutto come preludio dell’Olocausto. Un preludio cronologico, nel senso che lo sterminio dei disabili tedeschi iniziò a essere programmato appena dopo l’arrivo al potere dei nazisti, verso la metà degli anni ’30, e “tecnico-preparatorio” di quello che sarebbe in seguito accaduto. Perché fu nelle cliniche psichiatriche che vennero sperimentate le prime camere a gas.
    Si sperimentarono anche altri metodi, fra cui le iniezioni con sostanze letali, che però non si dimostrarono molto “pratiche” (furono comunque utilizzate dai medici nei campi di concentramento per sopprimere le loro cavie umane).
    Insomma, l’operazione T4 “risolse” il principale problema delle gerarchie naziste: come uccidere in fretta il maggior numero di persone possibile.
    Quello che mi colpì molto del racconto del professor De Martis è stato il grande ruolo avuto dalla classe medica, per l’iniziale rapporto di fiducia con le famiglie dei disabili, dei malati, e per l’uso che è stato fatto, di questa fiducia…
    “Pensate… il nostro medico di base ci dice che sono in corso esperimenti che possono guarire in maniera definitiva, facendo accendere così grandi speranze, da parte di una persona insospettabile… Questo intervento dei medici di base ha permesso prima di avviare l’operazione T4, poi condurla nei nosocomi, nelle cliniche psichiatriche”.
    Aveva parlato, il professor de Martis, di un doppio binario di moralità che ha reso possibile tutto questo. “Un doppio binario che esisteva anche prima dei nazisti e che esiste ancora. Durante la Prima guerra mondiale noi abbiamo dati che ci dicono che la mortalità nei manicomi era triplicata rispetto alla mortalità prima dello scoppio del conflitto, e gli stessi psichiatri riconoscono di aver ridotto le razioni alimentari per via dell’idea che nei momenti di crisi bisogna far vivere il migliore rispetto al peggiore. Un’idea che è ancora molto diffusa. Soprattutto nei momenti di crisi economica molte voci si alzano dubitando dell’importanza di aiutare i più deboli”.
    I malati, gli improduttivi, i nati deformi erano da denunciare… “Ma tutto questo è stato possibile anche per il sentire generale della gente normale che in qualche modo ha assimilato e accettato la propaganda sulle idee e le teorie eugenetiche”.
    Propaganda nelle scuole, nei cinema, documentari… Propaganda di grande forza, basata su affermazioni molto semplici. Si spiegava ad esempio quanto costava mantenere un disabile e cosa si poteva fare con quel denaro. “Sono argomenti che nei momenti di grande crisi possono attecchire nella mente di chi si trova in difficoltà. Funziona sempre”.
    Già, funziona sempre…
    Nella prima fase del T4 ufficiale morirono circa 96mila persone, ma dalle ricerche fatte si è scoperto che in alcune cliniche si continuò ad uccidere anche dopo la fine della guerra. Gli studiosi tedeschi parlano probabilmente di altre 260/300mila persone disabili uccise.
    Ma l’eliminazione del debole, del malato, del disabile, è cosa che affonda le radici nella nostra storia lontana…
    Viene in mente quanto letto in un libro di Carlo Lepri, che è psicologo e formatore, (“Viaggiatori inattesi”), che cita fra l’altro il Convito di Platone: “E’ brutto per un medico il voler tentare di curare ciò che per natura è cattivo”. Per spiegare che la necessità è quella di associare la disabilità con un errore della natura e gli uomini vi devono porre rimedio.
    Propone, Lepri, la sintesi più efficace in quest’immagine dalle epistole di Seneca: “Noi uccidiamo i cani idrofobi, abbattiamo il bue furioso, distruggiamo la progenie snaturata, e affoghiamo anche i bambini che al momento della nascita siano deboli o anormali… E aggiunge che non è la rabbia ma la ragione che separa il nocivo dal sano, per farci intendere che questa posizione non è dettata solo da posizione emotiva, ma è un fatto razionale”.
    Tutto questo motivato dalla difficoltà che in tutta la sua storia l’umanità ha incontrato nel fare i conti con la diversità… da Sparta per arrivare alle teorie eugenetiche, allo scritto della fine degli anni ‘30 di un famoso biologo tedesco che: “ogni contadino sa che se uccidesse i migliori esemplari dei propri animali domestici e continuasse a far riprodurre gli esemplari più scadenti, le sue razze d’allevamento andrebbero incontro a una irrimediabile degenerazione”. Duemila anni dopo Seneca, rimane il tentativo di associare la diversità con l’animale malato, con l’errore della natura. Da eliminare.
    Insomma, la storia, quando si ricorda delle persone con disabilità, sembra lo faccia spesso più che altro per proporne l’eliminazione, mentre i disabili sono rimasti a lungo un popolo silenzioso. Non è da molto che hanno iniziato a scriverla loro, la loro storia, e questo sta facendo fare passi avanti…
    E ben venga oggi l’iniziativa della Biblioteca nazionale centrale di Roma. “Prima di tutto vennero a prendere i disabili”, un incontro dedicato alle migliaia di persone uccise e torturate in nome dell’eugenetica nazista. Perché il rischio, oggi, rimane un’idea di efficienza, di produttività… cui la civiltà di cui tanto ci vantiamo ancora sembra non fare sufficientemente argine.

    scritto per ultimavoce.it

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