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    solo fantasie…

    A ridosso dell’8 marzo, le mie amiche impazzano… Ecco cosa scrive Daniela Morandini. A proposito di fotografe e fotografie, lei che pure a tratti cattura immagini….

    “In questi giorni di mimose strappate, torna alla mente Vivian Maier, la bambinaia fotografa che non ha mai stampato i suoi negativi. Nel 2007 a Chicago, John Maloof, un ragazzo in cerca di immagini, comprò all’asta una vecchia valigia piena di negativi. Era solo un pezzo di un’ enorme opera d’arte. Nella camera oscura di Maloof, riemersero capolavori di strada e autoritratti severi. Ma chi era l’autrice, quella donna con la Rolleiflex? Era Vivian Maier, New York, 1926, Chicago 2009, professione bambinaia . Maloof inizia un viaggio all’indietro: incontra i bambini di un tempo, e le famiglie che le diedero lavoro.La ricordano premurosa, maniacale, a volte cattiva. Vestita fuori moda, con un improbabile accento francese, mai sposata, senza amici, sempre con la sua macchina al collo.

    Maloof  trovò altre valigie piene di rullini: circa 150 mila. Da quelle pellicole escono facce di bianchi superbi, di neri senza lavoro, o schiantati dalla fatica. Bimbi che inciampano, donne che giocano alle signore. Vecchi che aspettano. Autoscatti interrogativi attraverso vetri e specchi retrovisori.  Sono occhi che rincorrono il principio dell’avventura, quello che – sostiene Roland Barthes-  permette alla fotografia di esistere. Nel deserto deprimente della realtà, ad un tratto, la fotografia “avviene”: anima chi la guarda, e chi la guarda la anima. Sono profili in bianco e nero che trafiggono (studium); fatalità che feriscono (punctum). Sono ritratti di strada che fanno riflettere e –come continua Barthes-  la fotografia e’ sovversiva non quando spaventa, sconvolge, ma quando è pensosa.

    Perché allora questa donna non ha mai cercato di far conoscere il suo lavoro? Perché si e’ nascosta dietro alla maschera di una bambinaia, di  una –nanny- qualsiasi? Perché non ha mai stampato i suoi negativi? La fotografia, non la duplicazione dell’immagine, ha bisogno della carta: chiede di essere toccata. E il fotografo lo sa. E allora perché ? Mancanza di soldi? Non è un motivo sufficiente. Il fotografo è consapevole che il suo occhio non si può fermare  dietro all’obiettivo, ma deve andare  avanti fino alla camera oscura.

    Qualcuno ha paragonato la Mayer a Emily Dickinson, che non ha mai pubblicato le sue poesie, ed ha addirittura cercato di nasconderle nei posti più strani. A me piace pensare che questa donna, intuendo i disastri dell’epoca della riproducibilità tecnica, abbia voluto fissare il “qui ed ora”, ma abbia scelto di preservare l’opera d’arte  dalla barbarie. Presagendo il sovraffollamento di immagini e di  informazioni, abbia voluto aspettare, anche oltre la vita,  che quello che ha avuto luogo una sola volta, fosse riprodotto all’infinito.

    Ma questa è solo fantasia.

     

    Daniela Morandini

     

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