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    Un racconto…. – 2

    Esattamente due settimane fa. Sul cartone di una parete la mattina del lunedì è comparso il profilo di un uomo dalla pelle scura. Come ho fatto a intuire che aveva la pelle scura se il fondo qui è già tutto nero? Ho un istinto che è bene non sottovalutare, e poi si capiva benissimo dalla pronuncia. Più che di profilo, leggermente di sbieco, mi osservava con un grande occhio rotondo che mi sembrava ancora più grande nello sforzo che faceva per guardarmi dalla sua faticosa prospettiva. Non ero stato comunque io a fissarne l’immagine in quel modo, quindi più che avere la mia comprensione… chi sei? gli ho chiesto.

    “Sono l’ultimo nero morto nei dintorni, non sai leggere nel trafiletto che mi accompagna?” ha risposto.

    Quattro righe in grassetto confermavano le sue parole.

    Ha strabuzzato gli occhi per guardare l’orologio sulla parete, e si è corretto: “A quest’ora, ha puntualizzato, il penultimo. Scusami ma sono in una posizione troppo scomoda. Potresti aiutarmi?” ha aggiunto. “ Noi neri preferibilmente veniamo fissati di sbieco. Non capisco perché. Ne risultiamo più  torvi”.

    Mi sono avvicinato, ho cancellato il naso, gli ho arrotondato appena il viso, ho riscritto le narici al centro del cerchio del volto. Ho aggiunto un occhio.

    “Questa prospettiva mi sembra migliore, ora possiamo anche parlarne. Sono il penultimo nero, dicevo, ucciso nei paraggi. E devo dire che mi sento più tranquillo ora in questa sequenza di cartone. La città è talmente affollata di minacce… Spero tu voglia tenermi qui con te. Non sarai tanto crudele da rimandarmi per le strade. Sono una notizia ormai. Non puoi negare il mio ritaglio di carta stampata”.

    Proprio così. Ancora una volta le storie stavano avendo il sopravvento su di me. Per fortuna questa sembrava ancora abbastanza incerta, ma mi ha inquietato lo stesso. Era una notizia meno sprovveduta di quanto volesse sembrare.

    “Ti ho sentito deglutire” mi ha sorpreso. “Ti sembro un fatto scomodo, vero? Lo siamo in tanti. Potrei fare un fischio e chiamare qui le centinaia di casi scomodi che circolano in giro…”

    Per carità, ho avuto la forza di supplicare. Resta pure, ma sta buono. Insomma mi sono arreso. Ed è stato così che mi sono ritrovato quest’ospite in casa.

    Avrei potuto colpirlo a colpi di pennarello. Ma come salvare la mia anima terzomondista? Non ho potuto che rassegnarmi. E non senza imbarazzo: benché di cartone, il mio ospite ( sì, anche lui!) ha subito preso l’abitudine di bere il mio caffellatte e di passare lunghi pomeriggi sprofondato nella mia poltrona.

    Avrei potuto cancellarlo con un colpo di gomma, ma appena presa un po’ di confidenza, mi ha chiesto un naso nuovo e gliene ho disegnato un più affilato, decisamente europeo. Sembrava soddisfatto e mi ha detto che finalmente aveva trovato un amico. Mi ha sorriso e mi ha detto di chiamarsi Boh. Mi ha chiesto anche degli abiti nuovi. Quelli che indossava erano sporchi, sgualciti e lacerati in molti punti. Sembrava vi fossero passate sopra le ruote di un treno merci.

    E allora? Diomio, come convivere con un ospite di carta in carne e ossa? Oltre al caffellatte ho notato subito che amava divorare anche i miei bloc notes. La notte, di nascosto, durante il mio sonno. Ero terrorizzato all’idea che divorasse anche i miei appunti. ( 2- continua)

     

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