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    La difficile libertà di Pasquale Zagari

    ZagariConversazione con Pasquale Zagari. Condannato all’ergastolo, ostativo, e ora libero per “un cavillo”, si racconta per invitarci a cercare di superare i pregiudizi, a credere che le persone con il tempo possano cambiare, come lui è cambiato e ha rotto i ponti con il passato, anche scegliendo di vivere al nord, lontano dal suo paese in Calabria.
    E ora è alle prese con la difficile libertà di chi per anni è stato chiuso al mondo e ora, dopo tanto vuoto, si dichiara bambino… E vorrebbe che la sua testimonianza serva ad aprire il cuore e le menti di chi non sa…

    “La mia storia… brevemente… Mi chiamo Pasquale Zagari. La mia vita è stata segnata da quando non avevo ancora 17 da episodi di bullismo che ho subito…e ho commesso un delitto. Sono stato in seguito condannato. Sono stato latitante per 5 anni e poi arrestato. Durante la mia carcerazione, purtroppo, nel 1991 mio padre è stato ucciso. Era consigliere comunale della DC… Ucciso da innocente. Vi fu chi ordinò di ucciderlo, perché così “così si mette zizzania e si scanneranno fra di loro”.   Episodio che ci sconvolse tutti. Mio fratello perse la testa e commise la strage per cui è in carcere (ora si trova a Sulmona).  Io ero detenuto (…)  per una condanna a 17 anni e sei mesi ( che sarebbero stati 14 per via di un condono), ma vengo accusato anch’io della strage, con la motivazione che “non potevo non sapere”. Così, alla fine, vado definitivo con un ergastolo. Ostativo. Sono stato in carcere per 29 anni e sette mesi, e durante la mia detenzione ho lottato sempre per la libertà, ho resistito come un leone. Immaginate: trent’anni di carcere, un lungo periodo al 41 bis, otto anni e mezzo dove ho subito vessazioni per 23 ore al giorno. Mortificazioni, violenze, sputi e preservativi nel vitto… provocazioni come l’ordine di spegnere un televisore che non c’era…

    E se oggi sono libero è per un “cavillo giuridico”. La mia condanna era illegittima perché all’epoca del processo, la scelta di essere giudicato con il rito abbreviato, da me operata, comportava la riduzione della pena a trent’anni di reclusione. La Corte Europea, con la sentenza “Scoppola” ha sancito il principio e comportato la riduzione anche della mia pena ad anni trenta. Ho scontato la mia condanna fino all’ultimo giorno, anzi, calcolando anche i giorni di liberazione anticipata concessimi per la buona condotta, ho espiato 34 anni. E infine, sono diventato un uomo libero. O meglio, pensavo di esserlo diventato… Ora sono libero, è vero. Ma mi sento libero a metà perché… è difficile da spiegare, ne parlavo in questi giorni con Yvonne Ho spesso incomprensioni con le persone alle quali mi rivolgo, perché io non sono una persona “normale”. Io ho un “buco” di trent’anni che non recupererò mai. E come si può essere normali dopo aver vissuto per trent’anni la logica dell’assurdo.

    Un carcere che funziona deve darti una linea d’orientamento, insegnare qualcosa, a me che sono “il male” e che dovrei avere di fronte “il bene”. Ma io, che compio 53 anni a giugno, non so in cosa sono stato rieducato… Io sono un alieno, nessuno mi ha aiutato. In regime di 41bis non mi era permesso neppure leggere un giornale. Non ho mai potuto sentire nemmeno il profumo di una persona, non dico una donna, ma proprio nessuno. Mai ho potuto toccare un famigliare. Poi sono passato in AS1, e la cosa un po’ si è alleggerita.

    Se oggi sono in queste condizioni, se devo essere preso per mano in ogni mio passo ( e ci vuole la pazienza e la bontà di Yvonne , è perché trent’anni non mi hanno insegnato nulla, mi hanno solo separato dal mondo. Io non ho dimestichezza con l’esterno, non conosco niente. Questo mi ha insegnato il carcere, un vuoto totale.

    Io personalmente sono vittima della mafia, che ha ucciso mio padre. Il collaboratore di giustizia, che al processo ha parlato dell’omicidio, in aula mi ha chiesto scusa. “Ti chiedo scusa – mi ha detto- abbiamo fatto una grande carognata”.
    Io oggi vivo lontano dal mio paese, e ho chiuso con la mafia. E mi chiedo e vi chiedo: perché non utilizzare le persone come me nella lotta alle mafie? Come me ci sono altre persone che hanno chiuso con il loro passato criminale, e che molto potrebbero fare.

    Qualche settimana fa ho incontrato qui al comune di Como, dove ora abito, sia il sindaco che l’assessore Magatti. Mi sono sentito veramente a casa mia per una cosa che mi hanno detto. Mi ha detto il sindaco Lucini: “Lei mi deve dire quello che possiamo fare per lei…” Ho risposto: “ Voi mi avete già dato tanto accogliendomi a braccia aperte”. E ora l’idea è di organizzare un convegno sulle pene riparative…

    I miei progetti… Che cosa posso fare io se non quello che conosco? Io non ho un mestiere, non ne ho avuto il tempo, ma voglio trasmettere la mia esperienza, voglio esser socialmente utile. Voglio spiegare, far capire, testimoniare. Io soprattutto sento la necessità, l’urgenza, di fare qualcosa per dare voce ai detenuti e ai loro familiari. Per far capire cos’è un carcere, per spiegare che quando si esce dopo una lunga detenzione non si è neppure capaci di prendere un bus…

    Ecco, mi piacerebbe poter dare la mia testimonianza e dare voce a chi non ne ha dentro le carceri, soprattutto agli ergastolani. E vorrei dire che dobbiamo dare loro non una speranza, ma un’altra possibilità, perché solo dando fiducia agli uomini se ne possono dare altre, di possibilità, altrimenti non si va da nessuna parte….

    Tante persone, nonostante tutto, sono cambiate. Ma quando cambierà l’Istituzione?
    Ho conosciuto ragazzi entrati con i capelli neri che ora li hanno bianchi, e che dopo 20 e più anni non sono la stessa persona Come farlo capire?

    Io devo dire ho avuto la fortuna, in tanto buio, di incontrare qualcuno con cui ho potuto avere relazioni… E’ successo ad Opera, dove ci sono agenti di custodia veramente eccellenti. Ho incontrato parecchi ragazzi che lavoravano alla AS1, davvero intelligenti, onesti e umani. Voglio ricordare un educatore, Mario Leone, che dà il massimo alle persone. Ricordo anche una volontaria che mi ha quasi salvato la vita, Valentina Rovedo, una grande donna, che mi ha dato la sua spalla, che non è poco. Ho incontrato galantuomini come il direttore, Giacinto Siciliano, ed Amerigo Fusco, il commissario del carcere.
    Io venivo da un processo brutto, avevo tentato l’evasione, e loro mi hanno accolto. Voglio soprattutto ricordare il direttore che mi ha detto un giorno: “Lei ce l’ha una possibilità”. E’ una parola che ti apre una porta, i sentimenti.

    Oggi, alla mia età, dopo un vuoto così lungo, oltre 35 anni su 53 ( immaginate che buco c’è), l’ho ripeto, ho enormi difficoltà a farmi comprendere, a relazionarmi… ma non mi sento in torto. Non mi sento all’altezza di relazionarmi con le persone perché non ho vissuto, e chi non ha vissuto è come un bambino.
    Questa è la verità e a volte mi sento di commettere delle mancanze, ma senza volerlo, e quando me le segnalano, quando arrivo a capire, mi sento triste. Ma io non capisco non perché sono stupido, ma perché io “non ci sono stato”.
    Sapete che è difficile essere libero? Sembra una bestemmia. Ma sapete quante volte ho pensato che stavo meglio lì…

    Io ho affrontato l’ergastolo come chi con morti vive… vegliando il mio corpo… Mi sentivo aggrovigliato nel cervello… sapevo che era mio, ma che non voleva accettare, che sapeva di essere lì, ma non voleva accettare quella cosa che ti mangia la carne dalla mattina alla sera.

    L’ergastolo ostativo è la pena della morte bianca, della morte viva… Giorno dopo giorno vedi il tuo corpo riesumato e putrefatto, sei destinato a un destino di perdizione. E come si vive senza speranza? E’ come vivere senza alimentarsi, come vivere senza mangiare… Per chi non lo sapesse, puoi uscire dall’ostatività se diventi collaboratore di giustizia ( e devi augurarti di essere colpevole, e averla qualcosa da dire). O passare per il 58 ter… la collaborazione impossibile, che è cosa complessa e difficile da dimostrare, riconosciuta se tutti i fatti che in qualche modo arrivano a te sono stati acclarati…
    Ma l’ostatività, che ti trasforma in un fine pena mai ( ma proprio mai) se non baratti la tua vita con quella di qualcun altro, è mettere le famiglie sotto le canne di fucile…

    Io dico e l’ho detto anche in sede di tribunale: io non voglio essere mafioso, io ho voluto chiudere e ho chiuso con il passato, ma qualcuno mi deve indicare il percorso che devo fare, perché io possa dimostrare concretamente che ho chiuso..

    Io sono un’altra persona. Sono qui a Como per mia scelta, perché ho voluto tagliare con la Calabria, che non è terra con la quale ce l’ho…, ma quando uno vuole chiudere con il passato deve abbandonare la sua terra. Non finirò mai di ripeterlo, ma io ho chiuso, e spero e credo che le istituzioni lo recepiscano e mi aiutino, mi diano la possibilità di dare voce a chi non ne ha… e di avere una vita….

    Pensate, ancora mi vengono a chiedere di cose di vent’anni fa… A parte che di quelle cose sono innocente e mi hanno dato quasi ragione, anche molti magistrati hanno creduto in me, perché voglio ricordare che 24 giudici mi avevano assolto dalle accuse per la strage seguita all’uccisione di mio padre… poi, altri 8 giudici avevano ribaltato tutto….

    Ora sono libero, ma vorrei che mi sia dato atto anche del processo mio di revisione
    Sì, io vorrei portare la mia testimonianza… ma non abbaiando alla luna. Facciamo qualcosa di concreto”.

    Scritto da Francesca de Carolis e Mario Arpaia

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