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    In autobus …

    Osservando in autobus una giovane suora, dalla pelle di un bellissimo colore ambrato, dai tratti somali, e gli occhi brillanti di cerbiatta. Se ne incontrano spesso, di suore, qui sulle strade che incrociano le piazze delle basiliche. A coppie, a gruppi, in file che sono quasi prove di processioni. Se ne incontrano spesso, e di tutti i paesi. A volte mettono serenità, a volte allegria persino. A volte mestizia. Non so quanto proiettando su di loro momenti sfasati di umori che a loro pure non appartengono. Ma c’è un pensiero difficile da mandar via, ogni volta che vedo vestita da suora una giovane africana. Pensiero triste. Perché ho sempre trovato i vestiti delle monache quanto di più mesto e mortificante per un corpo di donna. Che è pensiero che immagino lontano, a loro, forse, in tutt’altre dimensioni proiettate. Ma proprio non riesco a non pensarla, oggi, quasi una cattiveria. Costringere nel pesante rigore di forme non proprie quei corpi elastici e snelli, e nati liberi, che sanno di corse e di vento. Imbrigliare col nero, il grigio, il marrone di spesse stoffe, corpi cresciuti nei colori delle tele d’Africa. Che sanno di vita e di terra, e che delle cose più belle della terra hanno la morbidezza e l’eleganza. Per noi perdute. Pensiero quasi soffocante, mentre osservo, insistente e maleducata, i lineamenti della giovane donna che ho davanti, la linea malinconica della sua bocca, mentre con la testa appena inclinata guarda, sembra senza guardare, l’asfalto fuori dal finestrino.

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