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    Ancora in ansia per Collins

    Ricordate la storia di Collins Osaro Igbinoba? Finito nel Centro di identificazione e di espulsione di Bari dopo aver scontato più di quattro anni di carcere, e dal Cie tirato fuori grazie all’impegno di Salvatore Bandinu, lo scrittore sardo che nel carcere di Isili  l’aveva conosciuto, e insieme avevano raccontato  la sua storia… il progetto letterario “La cella di Gaudì”…  Oggi Collins è in cerca di lavoro. Urgentemente. Deve mantenere una madre, una moglie e una figlia di 9 anni, in Africa, mentre in Nigeria non può tornare perché lì la sua vita è a rischio, perché cristiano, in un momento in cui ci sono scontri tra musulmani e cristiani. E intanto aspetta che il giudice stabilisca se può o no rimanere in Italia.

    La storia di Collins. Vale la pena di ripercorrerla, per non dimenticare gli ordinari incubi in cui può volgere una vita… Era arrivato in volo in Italia dalla Nigeria, era il  2009, con un contratto di lavoro, comprato, come badante, ma con un permesso di soggiorno di due anni… alla fine si è ritrovato a chiedere l’elemosina. Finché per aiutare la famiglia lasciata in Nigeria aveva accettato di trasportare droga su un treno da Monaco a Verona. Una piccola quantità di stupefacenti, quanto basta per essere subito arrestato… Finisce nella colonia penale di Isili, dove ha impiegato il tempo studiando, ha ora la licenza media, e lavorando nella cura del bestiame. Per la cronaca, si occupava di 100 maialini… Più di quattro anni di prigione…  Pagato il debito con la giustizia, arriva il decreto d’espulsione, e viene rinchiuso nel Cie. Le nostre prigioni quotidiane… vale la pena ricordare questa vicenda, per Collins e per tutti gli altri Collins di cui nulla sappiamo, rimasti ingabbiati nelle maglie di normative che sanno rendere legale l’illegale. Soprattutto quando automatismi e burocrazie tutto macinano, cancellando la storia personale di ciascuno…  Una piccola nota: da tempo i giuristi denunciano il passaggio automatico per gli immigrati dal carcere al Cie, dove si viene trattenuti, fino a un anno e mezzo, per essere identificati ed espulsi. E il caso di Collins dimostra che uno straniero, che è stato in carcere per anni, nel momento in cui viene scarcerato deve essere ancora identificato…

    Intanto ci raccontano che Collins ora è a Bari, ospite di un amico, ma entrambi sono in uno stato di grande indigenza, che significa anche che non sempre può contare su un pasto al giorno. Passa le giornate andando da uno sportello all’altro, alla ricerca disperata di un lavoro. Qualche tempo fa era stato anche chiamato da un’azienda per un colloquio. Collins, chi lo conosce non si stanca di testimoniarlo, è una brava persona, conosce tre lingue… E lo avrebbero anche assunto, come animatore, per questo era stato sottoposto a diversi provini… Ma non è stato possibile perché alla fine si scopre che manca un documento. Insomma, senza lavoro non può stare in Italia ma non può essere assunto perché non ha documenti permanenti… Se si avesse voglia di scherzarci sopra … viene in mente il paradosso del comma 22. Ricordate? Il romanzo di Joseph Heller, Comma 22 appunto:  “Chi è pazzo può chiedere di essere esentato dalle missioni di volo, ma chi chiede di essere esentato dalle missioni di volo non è pazzo”. Ma c’è poco da scherzare… (e comunque quel libro era pure una feroce critica alla struttura militare…)

    Collins ora è in attesa che il giudice stabilisca se può o no rimanere in Italia. Ci auguramo che ce la faccia. A trovare un lavoro, per aiutare i suoi, e a rimanere in questo paese. Dove, fra l’altro, a maggio lo aspettano a Cagliari studenti di un liceo di Tortona e licei sardi, per parlare della condizione carceraria… il progetto “Oltre le sbarre” nel quale è stato coinvolto…

    Ce lo aguriamo davvero, che rimanga. E non per “bontà”. Ma per dare anche a noi la speranza che dalle pastoie di leggi sbagliate e burocrazie ci si possa districare, perché sono trappole nelle quali chiunque di noi può trovarsi all’improvviso imbrigliato. E poi e poi…e poi perché Collins potrebbe essere la dimostrazione vivente del fatto che dagli errori ci si può emendare, per ricominciare una nuova vita.  Nei giorni disperati della permanenza al Cie, aveva detto: “A volte le persone sbagliano, io mi vergogno di quello che ho fatto, ma esiste la possibilità di cambiare”. Dimentichiamo che il diritto alla riabilitazione, per chiunque, è cosa che chiede anche la nostra Costituzione?

    Ma un’altra cosa ancora ci insegna la sua vicenda: che per avviarsi su questa strada c’è bisogno, almeno un pochino, della presenza e dell’aiuto di ciascuno di noi, ognuno per quello che può fare, anche solo per un pensiero nella direzione giusta. E non per bontà, ma nel nostro stesso interesse, perché è un aiuto che daremmo anche a tutti noi, se vogliamo vivere in una società aperta alle relazioni, libera dalla paura dell’altro.

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