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    Concerto sul Piave

    gabbianBellissimo controcanto agli incontri del primo dell’anno, il racconto che ci regala Vittorio da Rios… fra l’eco di lamenti lontani, e il richiamo sfavillio d’ali..

    “Ricordo una domenica di fine aprile negli anni novanta stavo arando del terreno: “quanti processi modificativi dopo l’invenzione dell’aratro 6000 anni fa si sono succeduti per rivoltare le zolle e preparare il terreno alla semina”, dentro l’alveo sinistro del Piave, terreno fondamentalmente fresco e di medio impasto anche se con presenze di aree ghiaiose.Il cielo limpidissimo e azzurro con la presenza di una lieve brezza, e in basso oltre la riva lo scorrere limpido e tranquillo giocando tra i sassi del Fiume Piave. Mi fermai spensi il potente trattore e in religioso silenzio lo osservai come era irriconoscibile cosi puro e quieto il sua andare a valle inesorabile da millenni.sfociando nell’Adriatico. Irriconoscibile da quando decenni prima si era tinto di piene anomale e tragiche colme di sangue di giovani creature italiani, austriaci, inglesi, scozzesi francesi ecc e molti provenienti dalle colonie africane.mandati a massacrarsi tra di loro. E il Piave a lavare questo orribile scempio fatto dall’uomo sull’uomo, raccogliendone assieme al sangue l’ultimo grido disperato di migliaia e migliaia di giovani al crimine da loro subito. E il Piave dopo tutto questo patire, l’ulteriore sfregio patriottardo e dannunziano della “canzoncina” Il Piave mormorò non passo lo straniero”.  Avverti nella musicalità prodotta dal suo scorrere tra i sassi qualcosa di mesto di triste, al contempo un severo monito all’ominide affinché mediti di quanti crimini si è macchiato e continua a macchiarsi. Fui improvvisamente investito “svegliato”e riportato al momento reale dal straordinario concerto di “grida” gioiose di migliaia di gabbiani che mi chiamavano al mio dovere di “girare” il, terreno e scasso dopo scasso mi seguivano per prendere ghiottamente gli insetti che il vomere portava alla luce. Uno spettacolo unico .Un turbinio di grida e voli con straordinarie traiettorie: il, posarsi velocemente sul terreno fresco appena dissodato, afferrare l’insetto col becco e poi subito ripartire.Si era creata una incredibile famigliarità una armonia tra il terreno, il trattore l’aratro e i gabbiani che durava da ore e fini all’imbrunire. Mi seguivano adattandosi e proseguendo alla andatura dell’arare, planando e sostando a turno sulla cabina del mezzo che trainava il vomere.Forse qualcuno osservando il tutto potrà aver pensato lo stesso dell’uomo incontrato da Francesca che dava da mangiare ai “suoi gabbiani” Un pazzo! Infinite grazie cara Francesca, per questa tua perla di poesia,umanità e saggezza . Un caro saluto.” Vittorio da Rios

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