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    ELETTROSHOCK

    Elettroshock“In quel manicomio esistevano gli orrori degli elettroshock. Ogni tanto ci assiepavano dentro una stanza e ci facevano quelle orribili fatture. Io le chiamavo fatture perché non servivano che ad abbrutire il nostro spirito e le nostre menti. La stanzetta degli elettroshock era una stanzetta quanto mai angusta e terribile; e più terribile ancora era l’anticamera, dove ci preparavano per il triste evento. Ci facevano una premorfina, e poi ci davano del curaro perché gli arti non prendessero ad agitarsi in modo sproporzionato durante la scarica elettrica. L’attesa era angosciosa. Molte piangevano. Qualcuna orinava per terra.
    Una volta arrivai a prendere la caposala per la gola, a nome di tutte le mie compagne. Il risultato fu che fui sottoposta all’elettroshock per prima, e senza anestesia preliminare, di modo che sentii ogni cosa. E ancora ne conservo l’atroce ricordo”.
    L’atroce ricordo di Alda Merini, ritrovato in Salute ok… mi frulla e rifrulla nella testa dopo essere incappata, randagiando fra le pagine del Forum della salute mentale, in ‘notiziole’ che forse non avrete incontrato sulla stampa nazionale, ma che al Randagio hanno fatto drizzare tutti i peli sulla schiena… leggendo un intervento di Peppe dell’Acqua (l’ex direttore del Dipartimento di salute mentale di Trieste, direttore della collana ‘180 archivio critico della salute mentale’ e tante altre cose ancora) che fra l’altro denuncia: “In Alto Adige esiste una psichiatria ospedaliera, medica, oggettivante. Si sperimentano protocolli di terapie farmacologiche che sono al di fuori di ogni razionalità, è uno dei pochi territori in Italia dove si fa l’elettroshock e si usano pratiche restrittive come le porte chiuse”. E già ti soffoca il respiro…
    Ma quello che ancora di più inquieta, è la replica del primario di psichiatria a Brunico, che difende a spada tratta la terapia elettroconvulsiva e dice: “Prima di tutto l’elettroshock si usa sugli animali quando si conducono degli esperimenti o sugli internati politici in alcune zone del mondo come strumento di tortura, perciò non chiamiamolo così (…)”. Chiamiamola Tec… “La Tec è un trattamento utile e validissimo, quando applicato bene. Il problema è che, all’epoca, è entrata in campo una certa ideologia che ha mescolato due questioni: l’abolizione dei manicomi, posizione giustissima, e l’abolizione della Tec, posizione che invece scientificamente non può più essere sostenuta”.
    E sembra di tornare indietro di mezzo secolo…
    Il primo pensiero del Randagio intanto, permettete, è andato a tutti i poveri animali che, solo perché catalogati ‘non umani’, ci si sente autorizzati a sottoporre alle più turpi violenze, come non fossero esseri senzienti… Come se non fosse dolore il loro dolore… Ricordando, per chi non lo avesse chiaro, che l’elettroshock è “tecnica basata sull’induzione di convulsioni nel paziente successivamente al passaggio di una corrente elettrica attraverso il cervello”.
    Ma poi, si è chiesto il Randagio, qual è la differenza fra l’elettroshock e la Tec? Cos’è che rende questa accettabile per gli animali- umani?
    Tecnicamente non c’è differenza se non che, si suppone, non si usa anestetico in caso di torture (ovviamente, altrimenti che tortura è… ), né se applicata agli animali ( perché sprecare anestetico che fra l’altro costa..)
    Va bèh, chiamiamola pure Tec, che è parola più innocua, ripulita di ricordi d’altri tempi, di un manicomio che non c’è più… Siamo così bravi a usare le parole per allontanare il senso profondo delle cose… ma rimane il dubbio che sia solo una questione di parole, come dire ‘diversamente abili’ invece che disabili, ad esempio, che dà meno fastidio… o clochard invece che senza tetto, che fa più fine… o ristretto invece che prigioniero…
    L’elettroshock, per citare Dell’Acqua, “sottrae ai pazienti la loro soggettività, il loro spessore e la loro storia” ( me l’ero appuntata bene questa frase), ma cosa volete che sia una Tec? Pronunciata così sembra lieve come una puntura di spillo, quasi una carezza. Volete mettere con gli orrori che evoca l’elettroshock? Tec! E sembrano svanire con un colpo di bacchetta gli atroci ricordi, la paura, i racconti dal nido del cuculo… ,
    Sempre Dell’Acqua, che pur non avendola mai praticata, di ETC si è pure dovuto occupare … “Mi hanno interrogato le bocche sdentate, il decadimento fisico e intellettivo, lo sguardo vuoto degli internati che lo avevano subito. Il terrore, la sconfitta, la mestizia che ancora dovevo ritrovare nelle loro stentate parole”. E da allora la scelta di campo definitiva, per “cercare, a rischio di cocenti fallimenti, di tenere vivo l’“umano” nelle pratiche della salute mentale”. La libertà innanzitutto… (che è anche il titolo di un articolato e profondo intervento che invito a leggere sul sito salto.bz https://www.salto.bz/it/article/17072017/freedom-firstla-liberta-innanzitutto).
    Ma Gatto Randagio non trova pace… Mi è anche venuta in mente, e sono andato a ripescarla, un’intervista che Ugo Cerletti, il padre dell’elettroshock, rilasciò al settimanale ‘Oggi’, nei primissimi anni sessanta. Risparmio i racconti da brivido, almeno per chi non ha ancora anestetizzato la mente e l’anima, a proposito degli esperimenti su poveri maiali… c’è un passaggio che molto dà da pensare nell’intervista, rilasciata a vent’anni e più dalla nascita della terapia elettroconvulsiva, quando cliniche per l’elettroshock “fioriscono ovunque”.
    Ascoltate bene. “Io non credo ai miracoli, e l’elettroshock non fa miracoli. Hanno sbagliato quelli che lo hanno indicato come mezzo sicuro per guarire la schizofrenia. Solo concorre a curarla… E’ la terapia più adatta per le forme maniaco depressive (…). Ma io ho deciso di andare avanti, sa? Io in fondo considero l’elettroshock una violenza fatta alla personalità umana, e la violenza non mi piace, non la sopporto”.
    “Una violenza fatta alla personalità umana”… E’ proprio Cerletti, così, a gettare in qualche modo un presupposto a quella “certa ideologia” che, con la legge Basaglia ( cito Dell’Acqua) “ha rimesso in gioco gli psichiatri con un approccio diverso, che è più psico-relazionale e meno fisiologico”. Che ha riportato al centro della cura la persona e non la sua malattia, l’uomo e non il cervello…
    Anche il tanto osannato inventore dell’elettroshock, dunque, aveva compreso la necessità di cercare altre strade, “ma com’è difficile, doloroso, lungo…”
    Ed è lunga, non semplice, ancora oggi, la strada sul cammino della 180 e dintorni. Soprattutto di questi tempi che sembrano riprendere piede luoghi comuni, “pretestuose e inutili mistificazioni”. Ma vi do una notizia. Proprio in questi giorni si apre una nuova pagina. E’ stato depositato in Parlamento un disegno di legge sulla salute mentale, studiato per rendere meno frammentaria l’attuazione, ancora a tratti inadeguata, della 180. Rendere insomma certa e definitiva la svolta segnata trentotto anni fa…
    E, vi prometto, ne parleremo…

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