L’ultima notte che mi è venuto a trovare, era ancora sera. L’ora che si esce a passeggio sul corso grande della città. E siamo definitivamente insieme, con tutto il peso della gioia e del dolore. Lui è alto alto, troppo alto e indifeso, che io devo coprirlo con il mio braccio, perché qualcosa, che non capisco cosa sia ma so esserci, nel colpirlo non lo ferisca. E lui, docile, così alto alto, riesce a rincantucciarsi sotto il mio braccio. Indossa ancora un abito nero, ma di lieve trascuratezza, che non gli appartiene. Con altri amici che non riconosco ma so di conoscere, entriamo a visitare una vecchia chiesa, ed è lui che si fa scuro in volto, perché c’è qualcosa nell’aria che non va. E’ molto, molto preoccupato. E leggo la paura che si fa incubo nei suoi occhi puntati verso l’alto. A guardare lampadari, lassù sotto la volta, che sono candelieri di fiamma viva, ma le fiammelle delle candele accese sono piegate verso sinistra, e a sinistra flettono i bracci dei candelabri, come spinti da soffio invisibile che pieghi il metallo. Di presenze paurose… che quando, per fuggirle, svegliandomi, apro gli occhi, sono ancora accanto a me…