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    Il bambino con le braccia larghe

    Quando hai un fratello matto riconosci qualche spicchio della sua follia nei tuoi comportamenti, così  come lui cerca disperatamente la sua normalità nei tuoi. L’unica cosa di realmente, profondamente diverso fra lui e me è sempre stato il volume della sua sofferenza, che forse è l’unico aspetto davvero riconoscibile della follia..”

    e di follia parla, “Il bambino con le braccia larghe”, libro edito da Ediesse, e scritto da Carlo Gnetti… che è giornalista, che ha voluto raccontare la storia di Paolo… suo fratello… Quando parliamo di malattie, disabilità, fisiche o mentali, subito pensiamo alla sofferenza dei genitori, quasi mai si pensa ai fratelli… eppure … cosa succede a un fratello quando la malattia irrompe in casa…. Cosa succede, quando ad ammalarsi è un fratello che è anche compagno di giochi, con il quale tante e tante sono le esperienze condivise, in famiglia e non, dall’infanzia alla prima adolescenza, fino a quando la malattia appunto irrompe in casa e i percorsi si dividono. Si dividono ma, Gnetti lo spiega bene, il legame mai si spezza, anzi forse in qualche modo proprio dalla malattia viene cementato se per tutta la vita, ci dice, ha continuato a riconoscere in lui qualcosa di sé e sempre l’uno per l’altro sono stati riferimento certo. Il libro ha un incipit fulminante… “il giorno in cui mi accorsi che Paolo camminava tenendo le braccia larghe, staccate dal corpo, rimasi più che altro sorpreso…  non capivo se era un nuovo gioco o qualcosa di più misterioso…”  e inizia un percorso nel buio, … anche perché all’inizio la malattia arriva di soppiatto, non è subito riconoscibile, diventa altalena fra malattia e normalità, malattia e normalità…e tanto, tanto dolore… (…)  Un libro prezioso questo, che attraverso una storia personale, attraverso la storia di una famiglia, percorre la storia della malattia mentale in Italia, del suo trattamento. La vicenda personale del fratello dell’autore diventa  “esemplare di una certa evoluzione della psichiatria”, dagli anni ’50 ad oggi. Fino a tre anni fa, quando Paolo muore, distrutto, anche, sottolinea Gnetti, dall’uso eccessivo di psicofarmaci. Somministrati oltre ogni modo, a smorzare, fino a spegnere, quella traccia di vita che pure attraverso la follia si manifestava e forse proprio in vita andava tenuta, e non spenta, come invece è stato fatto…

    Un libro tutto da leggere, per seguire, con uno sguardo che è dentro le cose, tanti passaggi delicati e controversi dell’ultimo mezzo secolo, a proposito della malattia mentale. Il libro è accompagnato da foto in bianco e nero… uno sfondo che restituisce il sapore dell’Italia, di anni davvero particolari del nostro paese…

    Gnetti fa un racconto che a tratti quasi vuole sembrare un po’ staccato, cerca il rigore del testimone, che forse è qualcosa che serve per non farsi sopraffare, quando racconta ad esempio di tutte le volte che va a recuperare il fratello, dalle sue brevi fughe. Ma ho trovato che la tenerezza ha quasi sempre la meglio sulla narrazione, che svela l’amore davvero forte che ha legato i due fratelli, che hanno continuato tutta la vita ad essere l’uno riferimento dell’altro. E per questo, forse, la scelta di ricordare Paolo, di “fissare nella memoria i passaggi della sua malattia e della sua vita prima che l’oblio li cancellasse”… Ma anche per ricordare, perché non si ricorda mai abbastanza, quanto sia enorme il volume di sofferenza che la malattia mentale sempre porta con sé…

     

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