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    Mani…

    Pensando, di donne e di dolore, di vittime e carnefici… un pensiero lontano, che arriva dal ricordo della cronaca di un viaggio, fino alla fortezza di Jodhpur, in India… dalla cronaca di quella visita, dunque…

    …Ma nei passaggi e sulle scale della fortezza sembra a tratti avvertire l’eco soffocata dei fantasmi della vita che l’aveva un tempo popolata. Non capisco da dove provenga quest’eco: dai saloni, inaccessibili e vuoti, sembra improbabile; e neppure dai cortili o dalle torri; neanche dalle bacheche delle sale adibite a museo. Qui tutto è immobile: i baldacchini, i vestiti, gli scialli, le sciabole, le spade, le sete, i ritratti, le catene; ogni cosa, ben ordinata e composta, è consegnata per sempre al tempo di una data dalle esaurienti didascalie trilingue. Tutto sembra come pietrificato e non può che essere muto. C’è poi una sala, in alto, dove è raccolta una collezione di altalene. Uno dei divertimenti preferiti nei cortili di corte, immagino se penso a quante fanciulle o principi o dei ho già visto ritratti nel gioco. Le altalene in mostra sono decine, e bellissime. Variopinte, intarsiate, scolpite. Peccato che non vi si possa montare sopra e lasciarsi dondolare. Immalinconisce vederle immobili, tutte in fila, irrigidite nell’aria senza un alito di vento. Quasi un maleficio continui a perpetrare un’inaudita violenza contro la natura dondolante di quei deliziosi oggetti. Ma prima di uscire dalla sala,(…) con la coda dell’occhio credo proprio di aver percepito un leggero oscillare, nulla di più di un breve movimento, ma è bastato a rompere il composto rigore delle altalene e ridare loro l’illusione di un attimo di vita. Forse è stato solo lo stordimento dovuto al caldo, forse un’illusione ottica, forse scherzo della mia miopia. Oppure mani nascoste nell’aria che non hanno avuto la pazienza di aspettare che la sala tornasse vuota. Mani. Ecco. Sono i fantasmi delle mani che mi hanno inseguita durante tutta la visita al forte. Ci sono quindici mani impresse nella pietra all’ingresso della Porta di ferro. In ricordo, raccontano, delle donne morte sulla pira di un maharaja. Quindici vedove che si sono gettate nel fuoco per varcare il confine che altrimenti le avrebbe separate dal loro signore. Terribile potenza dell’amore. O del terrore. Le impronte di quelle mani sono ora coperte di polvere rossa. Dopo più di centocinquant’anni qualcuno ancora le venera.

    Non ho mai potuto definire un tempo possibile perché il pianto e il dolore di morti atroci si sappia acquietare. Il dolore di quelle donne, ne sono certa, urla e piange ancora fra le mura della fortezza. Anche se noi, e solo a tratti, riusciamo a percepirne appena sussurri.

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