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    Porrajmos, il genocidio dimenticato

    Porrajmos. Non tutti, forse, conoscono questa parola. Eppure, è una delle parole del genocidio. Porrajmos, in lingua romanì, che può essere tradotto con “il grande divoramento” oppure “devastazione”, è lo sterminio di sinti, rom e camminanti di cui raramente si parla. Eppure, le stime parlano di un numero che va dalle 300mila alle 500mila vittime. E nonostante le ricerche e gli studi siano andati avanti, questa tragedia collettiva non ha ancora avuto il giusto riconoscimento.
    Una data per quelli che noi frettolosamente e senza troppe sottigliezze chiamiamo “gli zingari”, per ricordare il loro dramma, c’è: è il 2 agosto, scelto in base a un accordo internazionale perché il 2 agosto del 1944 molti rom, donne bambini e anziani, furono sterminati a Birkenau. Ma chi lo sa?
    Le nostre distrazioni sono tante, e vengono da lontano. Nel processo di Norimberga, ricordano gli storici, in alcune deposizioni qualcuno parlò di sterminio degli “zingari”, ma nessun rom o sinti fu chiamato a testimoniare.
    Mentre non c’è stato posto per loro nella legge italiana che istituì il Giorno della Memoria.
    Un’assenza che non è casuale. Il nostro pregiudizio è tanto, e l’emarginazione passa anche per la negazione del ricordo.
    Certo, non aiuta il fatto che la memoria cui si affidano rom e sinti è prevalentemente orale. Ma voglio suggerire la lettura di un libro che tanto racconta: “Forse sogno di vivere”, testimonianza della terribile esperienza di una bambina rom deportata a 11 anni a Bergen-Belsen, insieme alla madre. La bambina, Ceija Stojka, da quel lager si è salvata, ha poi fatto la venditrice ambulante, a Vienna, e quei giorni tremendi ha continuato a testimoniare non solo con questo libro scritto cinquant’anni dopo, ma anche in tante sue poesie, in dipinti, che sono racconti di vita, che sono racconti di morte. E’ morta proprio sul finire del gennaio di dieci anni fa…
    Porrajmos.
    Gli studi storici continuano. Oggi sappiamo delle violenze e dei morti nei campi di concentramento europei, soprattutto di Auschwitz, Kulmhof, Bialystok e, ma anche in Italia. A Perdasdefogu (Nuoro), ad Agnone (Campobasso), a Tossicia, ai piedi del Gran Sasso, a Ferramonti (Cosenza), a Poggio Mirteto (Rieti), nel manicomio dell’Aquila, a Gries (Bolzano), come ha ricordato l’associazione Migrantes, che ha sottolineato anche che molti dei rom sopravvissuti “diedero un contributo significativo alla nascita della democrazia nel nostro Paese”. Ma chi lo ricorda? Chi li celebra oggi?
    Ritornano le parole di Ceija Stojka: “Auschwitz non è morto, sta solo dormendo”. Monito cui dovremmo dare ascolto.
    Non vi sembri troppo, ma il fantasma di Auschwitz (con quell’altra parola del genocidio, Porrajmos) che pure dorme, è lì, dietro tante storie dell’oggi che sono storie di emarginazione e di spregio cui non facciamo più caso. Chi si è accorto delle difficoltà delle famiglie rom “chiuse” nei campi durante la pandemia? Chi ne ha parlato? Ricordo la voce accalorata di Marcello Zuinisi, che aveva impegnato tutta la sua vita nella difesa dei diritti dei rom. Marcello, che ora non c’è più, allo scoppio della pandemia, denunciando il peggioramento delle condizioni che ne seguì per chi viveva nei campi, mi disse: “Possibile che nessuno si occupi della situazione nei campi rom? Dell’isolamento che rischia di portare alla morte per fame e malattie… Nessuno risponde, mentre le famiglie piangono dalla fame…”.
    E che dire delle quotidiane forme di “respingimento” dettato dalla nostra idea di decoro, degli sgomberi per lo più forzati che tante famiglie hanno lasciato per strada. Anche se da tempo l’Associazione 21 luglio” (che appunto di diritti dei rom e sinti si occupa), ad esempio, spiega che il superamento dei campi rom è possibile tanto per cominciare “finendola di considerare gli abitanti dei campi rom dei ‘disabili sociali’, bisognosi di interventi rieducativi su base etnica”…
    E parlando della difficile vita dei rom, come non pensare alla vicenda di Hasib Omerovic, il 36enne sordomuto che il 25 luglio dello scorso anno è “caduto” dalla finestra della sua casa, nel quartiere romano di Primavalle, durante un intervento della polizia. Che volete, era un disabile, disturbava per strada, era pure un rom… Se ne è parlato davvero solo dopo che l’Associazione 21 luglio, insieme a Riccardo Magi che ha presentato un’interpellanza, ha denunciato l’episodio in Parlamento, ed è partita l’inchiesta che va avanti e oggi si allunga la lista degli indagati, lo svelamento di violenza e depistaggi…
    Per la cronaca, Hasib Omerovic è uscito dal coma dopo due mesi, è ancora ricoverato, e solo adesso inizia a muovere autonomamente i primi passi. Mentre la sua famiglia è subito fuggita dalla casa in cui abitava. “Abbiamo paura”, avevano detto…
    I momenti più bui della nostra Storia, sono lì, acquattati dietro le violenze, le discriminazioni, le offese che non sempre vogliamo vedere…
    Pensando al “Porrajmos”, quella declinazione del genocidio che il Giorno della Memoria sembra dimenticare.

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