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    Una legge per l’attuazione della 180

    C’è un disegno di legge nei cassetti del parlamento, accantonato da qualche anno per via dell’indifferenza di questi tempi… diciamo “non luminosi”, a voler usare un eufemismo. “Disposizioni in materia di salute mentale”, il disegno di legge firmato a Nerina Dirindin e Luigi Manconi, presentato nel 2017. Ma la polvere di cinque anni che vi è caduta sopra, non ne ha offuscato la necessità, che mai come oggi diventa urgenza, guardando alla deriva dei servizi di salute mentale, alle profonde disuguaglianze sul territorio, alla mancanza di risorse economiche e professionali che vengono da più parti denunciate, cui risponde il silenzio distratto delle istituzioni…
    Di cosa si tratta? Di un disegno di legge che dà piena attuazione ai principi della 180.
    “Per valorizzare le rimonte e i successi che pure ci sono stati grazie a quella legge e il diritto riconquistato delle persone…” parole di Peppe dell’Acqua, che tutto bene riassume.
    Un obiettivo semplice e per questo utopico forse, lo definisce.
    Un obiettivo utopico? Ma non era sembrata utopia anche il “semplicissimo” pensiero di Basaglia? L’idea che la libertà è terapeutica e i manicomi andavano abbattuti…
    E allora parliamone, spigolando fra gli interventi dell’ultimo incontro del Forum della Salute Mentale, dove di questo si è discusso.
    “Tanto per cominciare il disegno di legge può essere un buon ‘manuale’ per mettere in moto la terza rivoluzione (ne abbiamo parlato ndr): l’attuazione in tutto il territorio di strumenti adeguati come in diversi dipartimenti di salute mentale già avviene. Per rivalutare soprattutto il ruolo delle persone con esperienza. Per richiamare i servizi, i dipartimenti, le regioni, la magistratura a vigilare sull’attuazione delle misure di sicurezza…”
    Un disegno di legge che, individuando concretamente livelli di assistenza, percorsi di cura, prevedendo l’operatività dei servizi sul territorio per 24 ore al giorno, mettendo sempre al centro la persona e i suoi bisogni… intanto ci riporta nell’abito dei principi del piano d’azione della salute mentale dell’OMS, come della Convenzione ONU dei diritti delle persone con disabilità. Che a tratti sembriamo aver trascurato.
    Al centro, ritorna, concreta, in tutte le sue possibili articolazioni, la città che cura, una città che si chiede “come curare” non “dove metterle”, le persone. Dove fra l’altro il servizio di salute mentale può essere servizio di base e non specialistico della psichiatria, al quale i cittadini possono accedere insieme agli altri servizi.
    Cosa che è esattamente l’opposto delle politiche sanitarie degli ultimi tempi con il fallimentare sistema “ospedale al centro e tanto privato”, che tanta solitudine continua a produrre e che ha di fatto tradito lo spirito della riforma sanitaria del ’78.
    Insomma, come spiega Daniele Piccione, consigliere parlamentare, questo disegno di legge, distonico rispetto a quello che sta accadendo, “è una certa idea di mondo”…
    Piccione, che è profondo conoscitore della Costituzione, in un suo prezioso libro (Basaglia, il pensiero lungo, edizioni Alpha Beta Verlag) spiega come la legge 180 abbia radici, e ben radicate, nella Costituzione. E che Basaglia ci ha ricordato che “i malati di mente” sono cittadini con pieni diritti costituzionali. Pensiero semplicissimo ed enorme al quale bisogna ritornare, nonostante tutto, in questo momento di cupezze in cui tutto sembra andare in senso opposto. O forse proprio per questo.
    E con lucidità rimettere l’accento sulla partecipazione a livello locale, perché dove manca la partecipazione i servizi sono scadenti. E quanti casi di persone non seguite che rischiano di essere protagonisti di tristi cronache…
    Già. La cronaca tante volte sembra sopraffarci. Confusi quando non obnubilati da narrazioni tossiche di dolorosi fatti di cronaca, così facilmente confondiamo e sovrapponiamo misure di sicurezza con la necessità della cura, vedendo “mostri” da cui difenderci, in persone invece da curare.
    Anche su questo il disegno di legge vuole fare chiarezza e dare precise e concrete indicazioni. Nodo quanto mai cruciale, quello del TSO. Troppo spesso mal interpretato nella sua attuazione, tradotto in pratiche violente, è diventato (ancora parole di Piccioni) “finestra attraverso la quale il tentativo di ritorno della coercizione, delle oppressioni hanno fatto capolino nell’ordinamento”. Cosa ben lontana dall’idea con la quale era nato un provvedimento che voleva essere non sopraffazione, piuttosto abbraccio di cura che passa attraverso confronto e mediazione.
    Insomma, una legge non da modificare, la 180, ma da applicare pienamente, contro tanti luoghi comuni e cattive psichiatrie (quelle che dimenticano che al centro è l’uomo e non la malattia) che la vogliono cancellare. Certo, un testo con obbiettivi ambiziosi, questo del disegno di legge Dirindin-Manconi, mentre ci sono regioni dove mai è stata davvero applicata, la 180 subisce i peggiori attacchi proprio là dove meglio ha dato i suoi frutti. Come le recenti cronache triestine raccontano…
    Ma ben venga questa sorta di contrattacco contro chi la rivoluzione di Basaglia vorrebbe respingere nel nulla, cominciando intanto ad arginare l’involuzione dell’oggi.
    E mi sembra, l’avvio di questo dibattito, come il vento d’un soffio, per disperdere la polvere che negli ultimi cinque anni si è depositata sul disegno di legge, che è stato presentato anche in questa legislatura dall’on. Elena Carnevali e dalla senatrice Paola Boldrini. Una chiamata alle armi, anche e soprattutto rivolto alle più giovani generazioni. A tutti coloro che denunciano di essere costretti a lavorare con le mani legate, confrontandosi col disinteresse di dirigenti e politici…
    Per dare inizio alla battaglia. Che significa confrontarsi con le diverse realtà, e anche rivendicare risorse che non siano l’indecenza che è oggi la quota del fondo sanità per salute mentale (neanche il 3 per cento!). E bussare forte alle porte della politica.
    Che ascolterà? E se non ascolta?
    E’ senza mezzi termini Peppe Dell’Acqua: “Bisognerà andare per strada e urlare con la nostra presenta contro tanta piattezza dell’ascolto… urlare col dolore che danno le cose che succedono”.
    Come dire: riscopriamoli infine il coraggio e la passione civile che hanno accompagnato, quarantacinque anni fa, il cammino del cambiamento …

    scritto per Ultimavoce.it


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