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    uomini infami….

    riva fataleNe sarete stati turbati anche voi, vedendo le immagini trasmesse da una tv australiana che tanto scandalo hanno suscitato in Australia e non solo. Un ragazzo incappucciato, a torso nudo, legato per due ore a una sedia… solo una delle continue umiliazioni subite da adolescenti nel carcere minorile Don Dale a Darwin, nel Territorio del nord, stato dell’Australia con un altissimo tasso di carcerazione, dove il 30 per cento della popolazione è aborigena… dove soprattutto aborigeni, come il ragazzo del video, sono le persone in carcere.
    Mi ha riportato, questa terribile storia, a un libro che mi ha accompagnato durante tutto lo scorso autunno e che, permettete, vorrei proporre come lettura d’agosto. C’è bisogno di tempo, ma vi assicuro, se appena lo aprite, non ve ne staccherete prima si arrivare all’ultima delle sue settecentoquindici pagine (appendici e note escluse). Ad ogni capitolo chiedendovi: come è possibile?
    Parlo de “La riva fatale”, che è la storia “di come l’Europa concepì l’idea di trasformare un continente, l’Australia, in un immane campo di concentramento”. L’editore Adelphi, l’autore Robert Hughes, che è critico d’arte del Time e, nato in Australia, ha voluto scrivere una poderosa epopea della fondazione del suo paese.
    “Nell’anno 1787, ventottesimo del regno di Giorgio III, il governo britannico inviò un flotta a colonizzare l’Australia” (…) “ora questa costa sarebbe stata testimone di un esperimento coloniale mai tentato prima e destinato a restar unico nel suo genere: Un continente inesplorato sarebbe diventato una prigione,. Lo spazio che lo avvolgeva, l’aria stessa, il mare, l’intero labirinto trasparente dell’Oceano Pacifico meridionale, sarebbero diventati una muraglia spessa ventiduemila chilometri”.
    Inizia così un viaggio sconvolgente (…)nelle nefandezze di una storia che racconta della messa a punto, da parte del governo inglese, di un sistema di eliminazione dei “rifiuti umani”. E sconvolge ancor di più sapere che il concetto di “rifiuti” da spedire lontano comprendeva, indifferentemente, ladruncoli, vagabondi, come responsabili di reati contro la persona, o di reati di natura pubblica, ma c’è anche qualche condannato per bigamia… uomini e donne, poveri, prostitute … Così che “essendo l’Australia un continente e non un edificio, poteva benissimo accogliere un’intera classe sociale”.
    Giustizia (!?) di classe, dunque. Qualità della giustizia, questo suo essere di classe, che a dire la verità ancora non muta. Basta guardare alla composizione della popolazione che affolla le nostre carceri.
    Sconvolgente è leggere, tutto documentatissimo, dalle condizioni di trasporto, al computo del numero dei morti durante le traversate, al sistema dei lavori forzati, le frustate, le scarnificazioni, la putrefazione della carne dei vivi… condizioni e punizioni che si fa fatica a immaginare.
    Basti questa testimonianza: “Io dovevo annunciare la vita a tutti fuorché a tredici. Coloro che sarebbero vissuti piansero amaramente; coloro che erano destinati a morire caddero in ginocchio e con occhi asciutti ringraziarono Iddio di venire così liberati da quel luogo”. L’Australia diventata dunque un grande inferno in terra, affollatissimo di corpi e di storie che mai dimenticherete. E quando arriverete alla fine della lettura di questa “sinistra epopea”, realizzerete che questa storia è finita a metà dell’800. Solo un pugno di decenni fa…
    Ed è una storia che tutta ci appartiene, perché viaggio nella nostra ferocia, legittimata dal sentirsi “classe giusta”, cosa che autorizza le peggiori violenze, fino all’annullamento, nei confronti di chi non riconosciamo degno di starci accanto, e per la nostra tranquillità è meglio eliminare. Potere terribile dell’uomo sull’uomo, impossibile da scalfire quando diventa sistema. Testimonia il libro che se capitava che qualche governatore cominciasse a pensare che il sistema fosse peggiore di coloro che ne erano oggetti, presto ne veniva in un modo o nell’altro espulso.
    Accanto al volume de “La riva fatale”, nella mia libreria c’è un libretto piccolino piccolino, poche decine di pagine. che al primo sguardo sembra farvi da contrappunto… Altra storia, altro luogo, stesso orrore: “La vita degli uomini infami”, di Foucault, che aveva iniziato a raccogliere dagli archivi delle prigioni e dei manicomi parigini, i documenti di internamento di “uomini infami”, appunto. Pochissimi cenni per ciascuno, che più non meritavano… poche parole terribili destinate a renderli indegni, per sempre, della memoria degli uomini, ma che Foucault riesce a scovare, per evocare “individui ignobili e sconosciuti, strappati alla loro notte solo perché il potere li ha attesi al varco, ha scagliato su di essi il lampo della decisione che annichilisce”.
    Insomma, se non ve la sentite, al caldo d’agosto, di affrontare le 700 e più pagine della ‘riva fatale’ (ma il titolo non vi ha già catturati?), provate con questa minuscola, densissima e sconvolgente anch’essa ‘Vita degli uomini infami’. L’uno e l’altro libro sono attraversati dallo stesso rosso filo, che traccia i percorsi della nostra ferocia, che non capisco come si possa definire disumana se, così sistematica, così infernale, solo agli uomini, e a nessun altro animale, appartiene…
    Una nota personale, “La riva fatale” mi è stato consigliato da Anna Pulitini, che è insegnante e volontaria nel carcere di San Gimignano, il libro di Foucault da Dario Stefano dell’Aquila, che è fra l’altro scrittore e membro dell’Osservatorio nazionale sulle condizioni di detenzione in Italia. Sono loro gratissima per queste letture che ritengo fondamentali. Perché quando si mette piede in quel territorio tremendo dove l’uomo esercita il potere sull’uomo, non si finirebbe mai di domandarsi, di cercare di capire perché… Credo sia una malattia che ad Anna e Stefano ormai mi accomuna…

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