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    La stanza dei pesci…

    Ancora donne e madonne. Quella di oggi si chiama Matilde. E viene diritta diritta a infrangerti l’anima, saltando fuori dalle pagine del suo magic book, un diario, alle cui pagine Matilde si è affidata e ha affidato un anno di vita, passato fra servizi e comunità d’accoglienza… Matilde, 28 anni, che soffre di un profondo disagio psichico. Poi questo diario è diventato libro. La stanza dei pesci, il titolo. Flora Tommaseo l’autrice. E questa è la sua autobiografia, o quasi. Un rosario di giorni che sembra infinito, come infiniti i giorni frazionati in ore. Riempiti di una scrittura che immagini scivolare fitta fitta sulle pagine di uno due … tanti moleskine. Non a caso, forse, il leggendario libretto d’appunti che Buce Chatwin portava con sé nei suoi viaggi, compare qui per seguire di quest’altro viaggio. Tanta tanta strada, pur percorsa avanti e indietro, in salita e in discesa, nello spazio chiuso come dalle pareti di vetro di un acquario… Un cammino che è anche un  sommesso grido d’aiuto perché qualcuno sappia indicare la strada verso il mare… Con una domanda che percorre ogni riga, ogni attimo. Anche quando non pronunciata: possibile che non riesca a capire quale diavolo ci sia dentro di me? E credi, all’inizio, che sia proprio per capire “quale diavolo ci sia dentro di lei” che inizi a leggere e non ti fermi più. Ma dopo qualche pagina ti accorgi già che non è così. Quello che cattura e stupisce in questo racconto è la leggerezza del linguaggio, che riesce a conservarsi lieve pur attraversando dolore, disperazione, ansie, paure, la violenza incontrollata dell’autolesionismo… (…) l’alchimia di farmaci, per fare assopire i mille volti con i quali riaffiora quel maledetto diavolo…  Che Matilde sa guardare anche con sguardo ironico. Ironia per se stessa e per gli altri, anime come lei vagabonde in perimetri chiusi che incrociano la sua strada. Un’ora di teatro in comunità? “Un’ora in cui mi faccio gli addominali da quanto rido”…, ad esempio. Tanta levità ed ironia che a volte sembra che tutto racconti come guardandosi fuori da sé. Ma è forse solo stratagemma per tenere a bada la sua  fragilità, e una sensibilità davvero estrema. Che esplode nelle immagini della natura, ad esempio, che Matilde ama moltissimo, che sente, e riesce a farci sentire, in tutta la sua forza. Struggente, come è lo sguardo sulle cose che ameresti da impazzire, se solo potessi davvero, infrangendo quel muro di vetro, afferrarle.

    Così, le pagine di questo diario si riempiono di gabbiani, che su tutto il racconto allargano le ali, con quei loro corpi liberi e belli e bianchi e luminosi. Si riempiono dell’acqua del mare e della libera vita che qui sembra a tratti avvicinarsi, nel desiderio e nelle cose, e poi per un nulla, un errore, uno sbaglio, come un taglio distratto di pelle sui polsi, allontanarsi, come in una sorta di tortura di Tantalo…

    Ci sono pagine bellissime, in questo libro. Soprattutto, mi è sembrato, quelle in cui l’anima si confronta e incontra con la natura. Una mi ha particolarmente colpita. Perché ( scusatemi il piegarmi un attimo in me…) ha dato voce a un mio amaro sentire, che mi è sempre difficile da spiegare. Per farlo rimando in genere ai versi de La terra desolata di Thomas S. Eliot. Aprile è il più crudele dei mesi, genera. Lillà da terra morta… Qui, Matilde-Flora, ha trovato le parole per dirlo. Leggete, da pag. 167. Aprile, no non mi svegliare. In questo lungo inverno ho dormito nella mia culla fatta di rifugio e di casette sugli alberi. E adesso arrivi tu, con le tue rondini che sveglierebbero anche un morto, e un’angoscia mi prende, mi stende, mi rattrista come nessun mese riesce a fare… Perché Matilde-Flora vuole i tuoni, i fulmini, le saette (…) quell’aria pesante che spezzi il respiro fino a farmi addormentare di nuovo

    Molto bello, anche il racconto del rapporto con i genitori… difficile, e infine bello, come scalare una montagna…

    E mi fermo qui. Solo voglio ancora citare alcune delle poche righe con le quali Flora Tommaseo introduce il suo racconto. Fulminanti, come le ha definite parlandomene Peppe Dell’Acqua, che dirige la collana delle Edizioni Alphabeta Verlag, 180 Archivio Critico della Salute Mentale, nella quale questo libro è stato pubblicato. Un pesce dentro un acquario, per quanto possa nuotare, sbattere le pinne, dimenarsi, salire fino su per poi scendere fino a giù, resterà sempre un pesce dentro un acquario. A meno che non si tratti di un pesce dentro un acquario fortunato… un giorno indefinito, una mano paziente, sapiente, capace e generosa, lo prenderà in mano senza scottarlo, curandosi di lui lo porterà diritto fino al mare…  (…) anche se dovesse morire, lo farà naturalmente e non carbonizzato sui bordi di un’acqua putrida e stagnante di un acquario sbadatamente dimenticato”.

     

    La stanza dei pesci, Flora Tommaseo, ab Edizioni Alphabeta Verlag. Introduzione di Claudio Magris

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