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    La voragine

    “Le urla devono essere finite ma odo ancora il silenzio degli impiccati”. Così annotava nel suo diario Elias Canetti.
    E non so perché proprio questa frase mi rimbalza nella testa mentre la vista di una foto mi fa precipitare come nel vuoto. L’avrete vista tutti: uomini palestinesi catturati, costretti nudi, tutti in fila con addosso puntate le armi dei militari israeliani. E avrete visto anche quell’altra: decine di persone, nude anch’esse, costrette a testa bassa, in ginocchio, e armi che puntano alla testa. O quell’altra, se possibile più terribile ancora: decine e decine di uomini senza vestiti, accalcati inginocchiati in una grande fossa. Il potere di chi sta in piedi, l’assoggettamento di chi è in ginocchio…

    Una fossa come una voragine nella quale sprofonda, insieme a quegli uomini prigionieri, la nostra pretesa umanità. In cui sprofonda quell’Occidente che ancora proclama la sua presunta superiorità morale.
    E non è possibile, davanti a quello che accade in Palestina, opporre l’ipocrisia dei nostri equilibrismi, fingendo di non sapere che la violenza sul popolo palestinese da parte di Israele non è iniziata dopo quel tragico 7 ottobre.

    Il silenzio che sale da quella fossa è immenso, come immenso l’oltraggio, che non è solo oltraggio a un popolo, ma negazione dell’Uomo…

    Le domande sono tante.
    Quali ferite nella psiche di un intero popolo dopo tanta violenza, tanto annullamento. Quanto insanabili quelle ferite. Uno stato che s’estende annientando l’altro, e prima ancora deumanizzandolo… quale veleno il cibo di cui si nutre e in cui si accresce?.
    Il confronto va con un passato che nei tanti giorni della memoria che abbiamo celebrato volevamo pensare lontano.

    Il nodo della questione Palestinese, diceva Edward Said, la tragedia del popolo palestinese, è essere vittima delle vittime. E questo forse può spiegare, ma non giustificare il nostro silenzio.

    Ancora pesco dai diari di Canetti un brano, che leggo oggi profetico:
    Diventiamo tutto ciò per cui abbiamo avuto un particolare ribrezzo. Ogni ribrezzo era un cattivo presagio. Ci siamo visti in uno specchio deformante del futuro, senza sapere che guardavamo noi stessi”. Parole definitive, come una profezia nera, se questo appunto arriva da una pagina di diario del 1944…
    Un pensiero del premio Nobel per la letteratura che tutta la vita si è battuto contro la morte, pensando alla capacità tremenda dell’uomo di dare la morte, pensando a quel Dio che la morte ha inventato. Il Dio violento della Bibbia, che degli uomini amerebbe solo una parte e autorizzerebbe a darla a tutti gli altri, quella morte. Un Dio, a coprire nefandezze. Mi chiedo se sia quello stesso Dio che, pure immagina Canetti, ha “nostalgia di per il mondo com’era prima che egli lo creasse”… mentre “c’è un muro del pianto dell’umanità e io gli sto accanto”.

    Accanto a quel muro tutti coloro che, a qualsiasi popolo appartengano, in quel Dio non si riconoscono.

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