Una serata a Roma, per Mamma Tammorra. E sono arrivati da Caserta, per uno spettacolo annunciato per raccontare anche attraverso sonorità contemporanee e salti in luoghi lontani, l’antica cultura popolare campana. Uno spettacolo di musica, canto e danza. Che immagini danzato intorno al fuoco. A mezzanotte, immaginiamo, quando i sogni sono veri. Ma anche se sono appena le nove di sera, sul palco del Teatro Vascello a Roma, è davvero un incanto.
Inizia, Mamma Tammorra, con la voce roca di Luca Rossi, percussionista, l’autore dello spettacolo, che, al centro della scena, con i suoi tamburi a cornice, conduce e tira le fila del gioco. La tammorra, spiega, è da tempo immemorabile la voce della Campania. La voce della Campania libera, dice. Ed è, nelle sue varianti, la voce antica dei paesi dell’area mediterranea. Voce che nello spettacolo viene rievocata, richiamata, rimiscelata. Diventa racconto che si fonde con il tempo dell’oggi. Perché Mamma Tammorra? Perché questa voce è femmina. Perché questo grande tamburo, spiega, è fatto di materiale organico. Tesa su telaio di legno è membrana di pelle d’animale. Che s’abboffa e sboffa. Come le donne lievita e sgrava… E l’auditorio ascolta e trattiene il fiato, già quasi ipnotizzato dal largo cerchio che percuote e carezza e solleva in alto, e ti fa credere che sia quasi una luna… E via, a guidare la sua orchestra, di flauti, violino, chitarre, fisarmonica, contrabbasso e batteria.
Lo spettacolo inizia e non può che essere l’invocazione al sole. Jesce sole, jesce. Potente la voce della cantante, Loredana Carannante. E al suo richiamo e al ritmo del tamburo il sole davvero esce, esce esce e sale… accogliendo nel suo confine una siluetta danzante. Che quando non è più ombra ed entra in scena, è per tutti una sorpresa. La danzatrice veste i colori e il volto della luna, e l’abito e i passi richiamano il tempo senza tempo delle mille e una notte. Poi il movimento si trasforma in una danza di dervisci, e proprio mille e una notte sembra la promessa che duri il suo vorticare… E’ il regalo di Ash Lombardo Arop, danzatrice e coreografa, italo-sudanese, che porta, a questa notte, anche il dono dei colori della sua terra d’Africa.
E si va avanti, fra tammurriate classiche, pizziche, medioriente e Grecia. Soffi di flauto, che sono un soffio al cuore, eco di mandole, tessuti di spazi di ritmi urbani, e questa è ancora una sorpresa. Il racconto sul filo dei suoni continua. Tocca e abbraccia le rive del Mediterraneo, dalla riva nord alla riva sud, e poi ancora molto più in là… in Algeria, in Tunisia, in Iran. Come andando, tutti gli straordinari protagonisti di questa serata, a inseguire la voce della Terra, come segugi, lungo le vie del tempo e del mondo. E nel cammino, a tratti ognuno si ferma, per regalarci il suo assolo. Che è voce del lamento di questi nostri tempi. Il violino di Ascanio Trivisano, la chitarra di Carmine Scialla, la fisarmonica di Andrea Russo, il contrabbasso di Vincenzo Faraldo, la batteria di Raffaele Natale. I flauti di Alessandro de Carolis. Che, dice Luca, da qualsiasi cosa abbia forma tubolare fa partorire suoni… e noi vogliamo credergli.
Ritorna, la tammorra, voce di donna che s’abboffa e sboffa. E racconta, la voce rauca di Luca Rossi, la storia delle sette madonne, tutte bellissime come le madonne naturalmente sono. Solo una è brutta, e a ben guardare è quella nera, che scappa scappa e va a nascondersi sulla montagna. La Madonna nera di Montevergine, che noi, da Caserta e dintorni, sempre abbiamo amato, forse più delle altre, e che ancora qualche volta, morsi dalla nostalgia, segretamente, torniamo a visitare. Forse anche per questo ci incantano, questa sera, i colori della danzatrice. Soprattutto quando i passi di taranta trasmutano nella danza africana di questa minuta madonna ambrata. Che porta in sé l’anima delle donne d’Africa, e il dono del loro muoversi, che è tam tam che segna il ritmo del battito del cuore della Terra. La danza, anche questa si chiude in un cerchio che abbraccia la riva nord e la riva sud. Entra ed esce, Ash, fasciata di abiti che sono ora di dervisci, ora di amante, ora di strega, ora di madonna. Ora di un pulcinella, rivestito di liste di lutto colorato.
E un ultimo pensiero a Chicchinella, la donna vestita di uno scialle nero che due volte attraversa la scena. Come un’ombra. Ma sa di carne e di sangue il suo ultimo grido, che è lamento, per la morte di Carnevale. Ma, ancora, sa tornare ad essere vita, quando con la leggerezza di una ragazzina d’altri tempi, accompagna insieme alle altre danzatrici (Carmen Gentile e Mina Fiore) l’esplosione della tammurriata finale.