Guardate gli occhi di questa donna. Nella foto sgranata dal tempo… è giovane, bella, sorride alla vita…
“Non può essere la stessa donna che era in manicomio, quella che conoscevamo era più brutta era più vecchia “, era stato il commento di due suore che in manicomio l’avevano incontrata. “Certo avrebbero potuto porsi una semplice domanda: come si diventa stando lì dentro, dopo tanto tempo, dopo tante sofferenze?” E’ l’amara riflessione di Gabriella Tucci, che della donna della foto è figlia. E lei è Antonia, Antonia Bernardini, che morì a 41 anni, bruciata viva sul letto di contenzione, nel manicomio giudiziario di Pozzuoli. Il giorno in cui moriva anche l’anno. Era il 1974.
Se ne parlò molto, allora… la storia del suo calvario occupò per giorni e giorni i principali quotidiani, e squarciò il velo su quanto di terribile accadeva dietro le mura dei manicomi, criminali e non.
Ritorna, oggi, questa vicenda in un libro scritto da Dario Stefano dell’Aquila e Antonio Esposito. “Storia di Antonia, Viaggio al termine di un manicomio”, edito da Sensibili alle foglie. Un libro quanto mai necessario, perché nelle pieghe della cronaca di quei giorni, l’indignazione, il dibattito sui manicomi che ne seguì, e quanto accadde nelle aule di tribunale, e quanto non accadde poi…, c’è molto che ancora ci riguarda. Perché “il passato non è morto; non è nemmeno passato”, come, a esergo del libro, il pensiero di Christa Wolf.
Toglie il fiato dalla prima pagina, questo “viaggio al termine di un manicomio”….
Storia di Antonia
Vorrei essere una formica
Dal numero di ottobre della rivista “una città, la testimonianza di Carmela, dal carcere di Reggio Calabria… leggete…
Dal carcere di Reggio Calabria, sezione femminile, 17 maggio 2017
Mi chiamo Carmela e sono stata trasferita in questo carcere per motivi processuali. Vi mando una mia testimonianza del colloquio avuto con mio figlio Francesco nella sezione a 41 bis di Spoleto. Era il 22 aprile del 2013 ed io allora ero libera ed andai con i miei due nipotini.
Il 22 aprile 2013, alle sei del mattino ero a Spoleto per fare il primo colloquio con mio figlio. Portai con me i suoi due figli Carlo e Nino, due gemelli di appena 6 anni. L’attesa fu snervante, dopo una minuziosa perquisizione, ci fecero entrare in una piccola saletta per il colloquio, l’impatto è stato devastante per me e i bambini. C’erano un tavolino, degli sgabelli, un grosso vetro, dietro quel vetro vidi mio figlio. Non lo vedevo da mesi e come madre il mio primo desiderio era quello di poterlo abbracciare forte, forte, che strazio! Ammutolita mi aggrappai a quel vetro, grosse lacrime inondavano il mio viso. Mio figlio era lì, davanti a me e non potevo abbracciarlo, baciarlo, avevo tanto bisogno di stringerlo forte e fargli sentire come batteva il mio cuore, avevo tanto bisogno di trasmettergli le mie emozioni. Mio figlio mi guardava, non diceva nulla, non volevo farmi vedere piangere da lui, ma non ho potuto fare nulla per trattenere le lacrime, scorrevano da sole, irrefrenabili.
Una calza a salire una a scendere….
”Una calza a salire e una a scendere”. Ma che significherà mai, mi ero chiesta… Poi ho guardato, il video dello spettacolo così intitolato, che Eleonora Fontana e Davide Peron stanno portando in giro per l’Italia. Uno spettacolo teatrale sulle donne della Carnia nella Grande Guerra, tratto da un racconto di Francesca Sancin, con riadattamento di Chiara D’Ambros. E le calze, quella a salire e quella a scendere, ho saputo, sono quelle con le quali misurava i passi del suo cammino sui monti Maria Plozner Mentil…
E così ho conosciuto la storia di Maria… che era stata una delle mille e più donne che, nel terribile tempo di quella guerra, si erano offerte volontarie per rifornire le prime linee. Le portatrici. Immaginate… salire e scendere lungo i sentieri sui monti, dalle retrovie alla prima linea, per mesi e mesi, con pesanti carichi di rifornimenti per i militari al fronte. Cibo, medicine, munizioni…
E colpisce diritta al cuore, la storia di questa giovane donna di borgo Ponars di Timau, che tutte le rappresenta, quelle donne… Quattro figli, il marito al fronte, un mattino di febbraio del 1916, a poche centinaia di metri dalle Rocce Malpasso, venne colpita da un cecchino. Morirà dopo un giorno… trentadue anni, e un bimbo ancora da allattare. Molti, molti anni dopo, sul finire del secolo scorso, le viene conferita la medaglia d’oro al valor militare. Maria Plozner, a rappresentare tutte le portatrici della Grande Guerra.
Per Siff , Sophia, Soraya, Saphiria .
Ne avrei voluto parlare la settimana scorsa e mi è sembrato persino un po’ vigliacco scrivere d’altro, fuggendo in parole di leggerezza… dopo aver letto di quel padre che ha detto basta a questa vita portando via da questo mondo i suoi quattro bambini. Faycal Haitot, venuto dal Marocco a costruire il suo futuro nel nostro paese, dove la sua famiglia aveva iniziato a crescere… Una storia terribile, così terribile che mi si è soffocata in gola. Lasciando solo, ossessiva, l’immagine immaginata di quei loro corpi, tutti in fila su un grande letto… Faycal Haitot, e Siff , Sophia, Soraya, Saphiria . Di loro, dopo l’enfasi commossa del primo giorno, oltre che qualche pagina locale, già non parla più nessuno…
Eppure bisognerebbe ancora provare a trovare le parole, a raccogliere il filo di un pensiero, perché è vicenda che tanto racconta della realtà di persone che fanno parte, ci piaccia o no, del nostro presente. Provo a trovare le parole, adesso, che “la notizia” è stata ingoiata dal vuoto ingordo di questo nostro tempo…
Intanto per Siff, Sophia, Soraya, Saphiria, undici, sette, cinque e tre anni… che il padre temeva
Fu tortura….
Una notizia diffusa da Antigone… Carcere di Asti. Fu tortura. Dopo 13 anni la Cedu ripristina la giustizia
Al carcere di Asti fu tortura. A chiarire definitivamente ciò che Antigone ha sempre sostenuto, anche come parte civile, è stata oggi la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo che, per l’ennesima volta, ha condannato l’Italia per violazione dell’art. 3 della Convenzione europea sui diritti umani, per le violenze e le torture subite da due detenuti nell’istituto di pena del capoluogo piemontese. Il caso oggetto della sentenza odierna risale a ben 13 anni fa. Nel dicembre 2004 infatti i due detenuti vennero condotti nelle celle di isolamento prive di vetri nonostante il freddo intenso, senza materassi, lenzuola, coperte, lavandino, sedie, sgabello. Gli venne razionato il cibo, impedito di dormire, furono insultati e sottoposti nei giorni successivi a percosse quotidiane anche per più volte al giorno con calci, pugni, schiaffi in tutto il corpo e giungendo, nel caso di uno dei due, a schiacciargli la testa con i piedi.
Passeggiate romane…
Passeggiate romane… Al Gatto randagio, domenica scorsa, hanno riservato una brutta sorpresa.
Ne aveva sentito parlare anche lui, certo, di crisi idrica, di provvedimenti da prendere, di razionalizzazione, dell’idea di chiudere i nasoni della città…
Chiudere le fontanelle della tradizione romana? Non può essere…, si era detto.
Ma potete immaginare il suo turbamento quando, tornando dal suo domenicale giro in bicicletta (sì, Gatto Randagio è anche ciclista) sull’Appia Antica, ha scoperto che i nasoni lungo quel percorso storico non gettano più acqua.
Era abituato, il Randagio, a riempire la borraccia alla fontanella che si trova all’altezza dell’ex Cartiera latina, ma l’ha trovata asciutta, secca come la morte. Bèh, resistiamo, ha pensato, contando di spegnere la sua sete più avanti, al nasone di fronte al mausoleo di Cecilia Metella. Nulla da fare, asciutto anche quello. Con la gola arsa, sulla via del ritorno confidava nella fontana che sta di fronte a porta S.Sebastiano. Morta anche quella…
Ma come? Non c’era stata una marcia indietro dopo le proteste dei comitati cittadini? E non era stato detto che al più sarebbero stati provvedimenti temporanei? Temporanei quanto?
Un colpo duro da sopportare. Come il Randagio ha potuto constatare sulla sua pelle, e sulla sua sete, il taglio dell’acqua riguarda anche
Una morte da non archiviare…
La morte di Valerio Guerrieri, ventidue anni appena, che si è suicidato nel febbraio scorso nel carcere di Regina Coeli. Se la domanda è: è proprio in un carcere che doveva trovarsi quel ragazzo?
Antigone di nuovo interviene per chiedere giustizia e si rivolge alle Nazioni Unite. Riporto il comunicato dell’associazione, che bene spiega…
“Il 24 febbraio scorso Valerio Guerrieri, un ragazzo di 22 anni, si è suicidato nel carcere di Regina Coeli. Per questo fatto nei giorni scorsi a due agenti della polizia penitenziaria è stato contestato il reato di omicidio colposo.
“Questa prima parte delle indagini – dichiara Patrizio Gonnella – non tiene conto dell’elemento probabilmente principale, ovvero se Valerio Guerrieri si dovesse trovare in carcere o meno”. “Da quanto evidenziano le memorie della difesa sembrerebbe infatti di trovarsi dinanzi ad un caso di detenzione che non avrebbe dovuto esserci. Un fatto molto grave – conclude Gonnella – che assume però ulteriore gravità nella vicenda specifica conclusasi con il suicidio di questo ragazzo ”.
Nella ricostruzione della difesa si evince come il 2 settembre 2016 Valerio Guerrieri viene arrestato
A cascina Macondo….
Appuntamento sabato 21 a Cascina Macondo, la casa di Anna e Pietro, nati come artisti di strada, e che adesso animano la cascina sul limite della campagna, fra Torino e Asti… Le attività lì in cascina sono davvero tante, e fra le tante le parole portate dentro e fuori le carceri…. altre volte ne abbiamo parlato… sabato prossimo l’incontro con due libri che intorno a carcerazioni girano: “La stretta di mano e il cioccolatino”, di Pietro Tartamella e “Angelo senza Dio”, di Carmelo Musumeci… (cliccando sull’immagine è possibile leggerne i dettagli…)
Claudio e Diana, trent’anni di passione…
Gli ultimi romantici… li ha definiti così Luigi Coppola, che ha dedicato loro una biografia. Claudio e Diana… Claudio De Bartolomeis e Diana Ronca, coppia canora, e molte altre cose ancora, che da trent’anni sono una voce, una chitarra e un mandolino, che portano in giro per l’Italia, e non solo, i classici della canzone napoletana.
Quando mi è capitato di incontrarli sulle vie del web, sono andata a spulciare qua e là, fra le loro cose, le canzoni, i video, le clip… e come non ammirare chi riesce a fare di ciò che ama il proprio lavoro… Andate a vedere (e sentire). A me ha subito incantato questa foto, di lui curvo sulla chitarra, che quasi abbraccia, e nell’abbraccio è anche lei, e i suoi caldi lineamenti mediterranei. E quanto è compreso e teneramente sorridente lui, e chissà se lei è più simpatica o più affascinante, mi sono chiesta continuando a scorrere i loro video, dove interpretano, drammatizzano, scherzano, giocano, anche…
Come presentarli? Mi affido alle parole di Diana, che circa due anni fa mi scrisse: “Con mio marito Claudio, insieme da 32 anni, siamo musicisti professionisti da 27 ( orgogliosamente fieri di esserci riusciti, credendo esserci riusciti, credendo sempre che avremmo vissuto di musica e senza un’agenzia, né un impresario, né aiutini di alcun tipo…..) e ci dedichiamo a un genere musicale amato e conosciuto in tutto il mondo, ricco di tradizione e cultura….
Pensate che, con chitarra, mandolino e voce, dedichiamo ancora le serenate sotto al balcone dell’amata”….
nubi….
Un po’ mie ne vergogno, ma proprio non lo conoscevo… prima che ne leggessi nell’articolo di Enzo Lavagnini che, a proposito di follie dell’uomo, ricorda “uno dei più vibranti ed efficaci atti d’accusa contro la follia dei governi e della guerra nucleare”: “Quando soffia il vento”, film d’animazione di Jimmy T. Murakami, comparso nell’autunno del 1986. E io che per i film d’animazione vado matta, sono andata subito a cercarlo, per colmare la lacuna…
Ha proprio ragione Lavagnini, che lo definisce “splendido esempio di delicatissima animazione d’annata”. Ha ragione soprattutto a riproporlo adesso che quella follia che pensavamo di avere lasciato alle spalle, insieme al tempo della guerra fredda, sembra stia ancora prendendo il mondo…
Come se la lezione della storia non fosse servita a nulla… Hiroshima, Nagasaki… le foto, i terribili documenti … tutto quello che abbiamo visto e tutto quello che non abbiamo visto ma possiamo immaginare… lasciato a sbiadire in un cassetto della memoria, sempre più sgranata, come il bianco e nero delle pellicole dei documenti di allora…
Ma il film di Murakami ridà a quella storia il colore del presente, ce la fa sentire tanto vicina, la fa entrare nelle nostre case, nei nostri corpi, nell’anima… perché di quella follia racconta l’insinuarsi, fino a stravolgerla, nella vita “normale” di tutti i giorni. Raccontando di una guerra nucleare che sorprende un’anziana, tenerissima coppia, che vive nella campagna inglese. Jim e Hilda, e le parole fra loro leggere…
“Ciao micia”, “ciao micio… passata una buona giornata?”