Accidenti…, vi avevo lasciato con la speranza fiduciosa che i desideri messi nella pancia di Marco Cavallo si avverassero, ma dopo appena qualche giorno già qualcuno quella speranza sembra vederla morta… Così, spero di non infastidire, ma sono ancora qui a parlarvi dei ragazzi della scuola del Centro per richiedenti asilo di san Nicola.
Lunedì scorso sono stati trasferiti. Una trentina di loro, così, all’improvviso. Sparpagliati fra Tiburtina, Aurelia, Tivoli. Via Staderini… ricordate lo scandalo di qualche tempo fa? In posti affollati, dove già sono in trecento, quattrocento… dove non c’è wi-fi… e come telefonare a casa… Non più bigliettini di desideri, ma messaggi per dire che non stanno bene, che non capiscono il perché di questo trasferimento. Qualcuno, spedito a Tivoli, rassicura che lì non si starebbe poi male… Ma l’aula della scuola di san Nicola oggi è vuota. Rimangono questi disegni, che sono il compito che la maestra aveva lasciato per le vacanze: disegnare la casa. Quella che hanno dovuto abbandonare, quella dei sogni che hanno lasciato alle spalle per immaginarne una nuova, più avanti …
E viene quasi da piangere se conosci il volto e la storia del ragazzo del Mali, che sperava in un lavoro, per affittare una casa, per metterci dentro una donna da amare… e che con tratto bellissimo fa rivivere il suo villaggio, le case, la gente, gli animali, e quei rami che si inerpicano verso il cielo carichi di frutti d’oro… così pieni del colore del sole da riscaldare l’intero bianco e nero del disegno…
E non fa tenerezza il tripudio di colori di queste altre case? Quasi il gioco di un giardino d’infanzia. Casa-famiglia, casa-famiglia, ha scritto sui muri il ragazzo che le ha disegnate, prendendo a prestito i colori del sogno che verrà…
Immaginate ora lo smarrimento, il grigio nel quale sono ripiombati. Salvati dal mare, avevano appena appena iniziato a stabilire relazioni, a percorrere strade, seguivano lezioni, guidati da persone di cui, finalmente, fidarsi… erano molto bravi, avidi di conoscenze… poi tutto subito si spezza. Non conosco i motivi del trasferimento, ma il metodo sì…
Con tutte le differenze del caso, viene da pensare al trattamento riservato ad alcune categorie di nostri detenuti, che a tratti, all’improvviso, vengono spostati. E i trasferimenti non sono necessariamente dettati da logiche punitive. La macchina della burocrazia è un apparato la cui meccanica semplicemente nega l’individuo. Tutto qui. Lo rende cosa. Tutto qui. E non importa che quel “pacco” appena mandato altrove abbia faticosamente stabilito relazioni umane, ripreso un cammino di recupero, sia stato aiutato a riprendere relazioni di fiducia per riaffacciarsi sul mondo fuori lì intorno…
Giusto questa settimana che (con tutte le differenze del caso, ma come non pensarci?) è scoppiata la rivolta nel centro di Cona, dopo la morte di una giovane donna. Avrete visto anche voi le immagini riprese all’interno della struttura. “Come animali”, titolava il video girato da un giornalista che si era “infiltrato” tra i volontari… Messi come animali… che, con tutte le differenze del caso, è poi quello che capita avvenga anche nelle nostre prigioni…
Lo so, mi ripeto. Ma sempre penso che il nodo sia tutto lì. Nel trattamento che riteniamo di poter riservare a chi consideriamo qualche gradino sotto di noi. Detenuti, migranti, animali… Pensiamo di potercelo permettere perché, pur con tutte le differenze del caso ( ma neanche poi tante) appartenenti tutti a categorie che non sono la nostra, e che, per un motivo o per l’altro, sono finiti tutti in nostro potere…
E si riparla di Cie. Questione complessa, quella dello Stato che pure deve in qualche modo controllare, garantire e garantirsi… Abbiamo ascoltato parole d’impegno a “coniugare accoglienza e rigore”, e saranno pure diversi (?) da quelli passati, come assicurano, i nuovi Cie… ma come non pensare a ciò che sono stati? Ma qualcuno lo ricorda cos’erano i Cie? Sono incappata in rete nel commento di Carla Manzocchi, cronista della radio, che in uno dei quei centri c’era stata. Volentieri lo faccio mio. Carla ci ricorda che “i Cie erano delle galere dove venivano rinchiuse persone che non avevano commesso alcun reato. A Ponte Galeria gli spazi all’aperto consistevano in quadrotti di polvere circondati da alte reti metalliche. Incontrai una donna ucraina in lacrime: aveva lavorato per anni in un panificio di Torre del Greco, sfruttata, senza documenti e senza contratto. Un giorno era stata presa dalla polizia e portata in quell’inferno. Penso che riaprire i Cie sia un’idea vergognosa, tanto più se è la risposta del governo alla rivolta di Cona. Anche perché nell’ex base missilistica di Cona non ci sono irregolari, come accadeva nei Cie, ma richiedenti asilo politico. Cosa c’entrano i Cie?”…
Con tutte le differenze del caso… saranno pure una cosa diversa (?), quelli che verranno, ma rievocare i Cie, è un po’ come parlare della riapertura dell’Asinara a chi ben ricorda che cosa terribile è stato quel carcere in un passato neanche poi tanto lontano. Ci sono nomi e cose accadute all’interno di quei nomi. che fa vergogna anche solo pensarli…
E qui mi fermo, con un pensiero a Sandrine, la giovane donna alla cui morte è seguita la reazione dei migranti di Cona. Era venuta dalla Costa d’Avorio, per inseguire il suo sogno. Fra tanto vociare di lei non parla più nessuno…
Nello spazio fra il rigore e l’accoglienza, dove, si assicura, saranno garantiti diritti, ci sarà posto per il diritto di sognare?
E un pensiero ai ragazzi non più di Casale San Nicola. Nel fondo dei loro occhi lucidi, anche oggi, nonostante tutto, si legge la forza, come di determinazione antica, che, ancora, li fa andare avanti…