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    La panchina

    Andando e stando. Andando lontano dalla propria terra, attraversando altre terre e poi il mare. Stando, quindi. Per chiedersi infine, dopo anni e anni lontano da casa, se abbia avuto un senso il cammino di questo emigrare. Kilap Gueye, partito dal Senegal e approdato su quest’altra riva, in Sardegna, si interroga, seduto sulla sua panchina, in un angolo appartato, magari lontano dal rumore delle automobili. Una panchina, sì proprio quelle che qui e là dalle nostre parti ogni tanto qualcuno pensa di far scomparire… Luogo dello spazio pubblico che sa essere privatissimo, luogo sicuro per pregare e pensare in pace. La panchina, dunque, titolo e luogo di questo libro che ha la scrittura, e la voce, di un diario sommesso. Che l’editore Aipsa pubblica nella collana D’oltremare. Un libricino quasi sussurrato, di appunti, del viaggio che è stato e dello stare che è. Passato e presente si intrecciano per comporre la storia di Kilap, nato a Thies, e che dopo gli studi universitari lascia il suo paese perché, come si legge nella controcopertina, “ha poche speranze di trovare un lavoro che gli consenta di realizzare il suo più grande sogno: contribuire a sradicare la povertà in Africa”. Ma l’Italia che trova non è quella che aveva sognato. Lontana, lontanissima, da quella vista alla tivvù. La tivvù, questo grande imbroglio… E l’Italia diventa una spiaggia, da percorrere, avanti e indietro, avanti e indietro, per cercare di vendere qualcosa a qualcuno, e, appena, sopravvivere. E che senso hanno avuto i rischi e i pericoli corsi per arrivare fin qui, che senso hanno la tristezza e la solitudine… Un diario davvero fuori dal comune, questo di Kilap Gueye. Un distillato di pensieri e sentimenti. Di immagini, che corrono, senza ordine apparente, da un luogo all’altro, da un tempo all’altro. Covati sulla sua panchina. E lo vediamo benissimo, questo giovane uomo, il colore bruciato della sua terra, il borsone accanto, seduto a interrogarsi. A stupirsi ad esempio ( e vergognarsi un pò), di quella strana gente che siamo noi, che senza vergognarsi si espone al sole seminuda. Ah, il corpo… quale rispetto, quale pudore per il nostro povero corpo? Ed è forse la prima cosa che lo colpisce, e ferisce, del suo soggiorno italiano. Ma ci pensiamo mai? Ci abbiamo mai pensato? (…) Ancora: Nitt, nitt moy garaban. L’uomo è il rimedio dell’uomo. “Più mi avvicino al mondo occidentale, più mi rattrista, più mi rendo conto delle sue insicurezze, della sua nsia, soprattutto delle sue diffidenze…”. Questi e altri pensieri e dubbi, con grande garbo ci offre Gueye, con questo suo racconto con il quale si mette e ci mette in discussione. E ci fa chiedere, man mano che si va avanti, ma l’ho io?, l’abbiamo noi, una panchina dove andare a nascondersi per interrogarsi sul viaggio della nostra vita?  E quasi quasi fa venire voglia di andare a cercarla una panchina ( prima che le facciano scomparire tutte) e farne la propria casa, almeno per quei momenti in cui ci coglie improvvisa la nostalgia di uno spazio di libertà, perché anche i pensieri possano scigliersi davvero onesti e liberi…

    Gueye non si è arreso. Ha trovato altri, a volte precari lavori; ha insegnato la madrelingua nelle scuole; ha incontrato ragazzi per raccontare, come i griot delle sue terre, le storie del suo paese… ma ancora la vita non è per lui semplice…  Ancora, i luoghi, i ricordi, i dubbi, corrono a rimpiattino nella sua mente, come nelle pagine di questo diario, che ne è testimone, e dove le lingue, come i linguaggi, si intrecciano. Yobuma dèk ba, riportami a casa. Ma perché voglio ripartire? Mande djaxlena. Sono veramente disperato. E allora…   “Provando e riprovando mi ritrovo sempre nello stesso punto, come se stessi scavando un pozzo senza fondo. E mi chiedo se alla fine è valsa la pena correre tutti questi rischi, affrontare tutto queste difficoltà. Proverò a tornare sulla mia panchina. Per pensare, per pregare, per ricordare, per tenere ancora una volta a freno la disperazione, per tentare di vincere la sorte, per vivere in pace la mia vita”.

    La panchina, ovvero, ha senso emigrare? di Kilap Gueye, Aipsa edizioni

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