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    Al Blues Festival di Accadia…

    Con il premio dedicato a Matteo Salvatore e il concerto degli Almamegretta, si chiude oggi il Blues Festival di Accadia…
    Il racconto di Daniela Morandini…. ascoltate

    “Accadia. Per arrivare qui, in Puglia, tra i monti della Daunia, bisogna prendere l’autobus che da Napoli porta a Foggia, quello di tanti lavoratori africani. Qui, sulle porte di casa, svolazzano le tende sfilate nel pizzo per non fare entrare le mosche. Per strada si aggiungono le sedie per continuare a parlare. I vicoli portano al rione Fossi, la città distrutta dal terremoto del 1930. Case di pietra dove dormivano in troppi. Ora questo borgo rientra nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza e accoglie uno dei Festival più singolari di questa estate.

    Nel rione antico mi accompagnano i direttori dell’Accadia Blues Festival, Rocco Pasquariello e Costantina Rampino, da sempre compagni di vita e di lavoro. Sono nati qui e sono due leggende della musica dietro le quinte. La ricerca della loro Marocco Music fa incontrare culture diverse: da Ignazio Buttitta a Billy Cobham, da Lina Sastri a Chick Corea, da Gabin Dabiré a Bill Evans. Pasquariello e Rampino sono tornati da poco dalla festa che hanno organizzato a Napoli per gli ottant’anni di Peppe Barra. Ne è uscito un disco: “Un’età certa”, dove Barra canta anche Pino Daniele, un’dea nata poco dopo la scomparsa del cantautore: “ cammina cammina vicino ‘o puorto e rirenno pensa a’ morte”. Barra interpreta persino Gaber, lo smonta, lo rimonta, lo traduce: “M’aggia fa’ ppe forza nu shampo”. E le culture si incontrano ancora. Così come quando gli studenti dell’Accademia di Belle Arti Foggia lavorano nella città fantasma. Anche le loro opere fanno parte del festival Blues: paesi rinati nell’intaglio di un tronco, fili di Arianna alle finestre, tesi verso la fuga; figure di creta appese a quel che resta della furia del terremoto.

    Sulla facciata di una casa sventrata, un murale con Matteo Salvatore: ”La luna aggira il mondo e voi dormite”.
    Affabulatore senza sosta, Pasquariello ricorda una discussione con Tullio de Piscopo, gli torna in mente l’incisione di brani che James Senese non volle mai pubblicare. Pino che non c’è più. Così come se ne è andata Miriam. A Costantina Rampino, rigorosa in ogni dettaglio, vengono gli occhi lucidi: era lì, a Castel Volturno il 9 novembre del 2008, quando la Makeba morì dopo un concerto contro la camorra che aveva ucciso sei africani. Sono frammenti di storia della musica che andrebbero ricomposti e scritti. Ma Pasquariello è restio: forse non tutto si può raccontare.
    In piazza vanno in scena i concerti: Banduardi canta i versi di Esenin con le sue ”Confessioni di un malandrino”. Ana Popovic, voce e chitarra di origine serba, esplode potente con un blues che mescola rock, jazz e soul. Bombino, chitarrista tuareg che viene dal Niger, fonde blues, rock e suoni del deserto.
    Gli Almamegretta, ribadiscono che in napoletano “Senghe”, il titolo di un loro LP, vuol dire fessure e che le crepe sono la possibilità di parlarsi.
    Al museo Civico c’é “Eduardo artefice magico”, la mostra delle foto di scena che ho scattato nella stagione 1979-80 e che ho digitalizzato quando il Covid ha imposto di chiudere i teatri. Due antiche statue di pietra, forse san Pietro e san Paolo, sembra che mi controllino per evitare autocompiacimenti. Tre immaginette della Madonna sporche di polvere sorvegliano l’ingresso. Forse è la Madonna d’ ‘e rrose di Filumena Marturano. Le fotografie si susseguono come in una pellicola in bianco e nero fino ad un verso composto con materiale di recupero: Io vulesse truvà pace, una poesia di Eduardo scritta nel ’48, che ancora oggi non trova risposta. A fianco, rami di ulivo e due sagome di Sik Sik, il prestigiatore troppo secco che diventerà la chiave degli altri protagonisti del drammaturgo partenopeo: Luca Cupiello, Gennaro Jovine, Pasquale Lojacono.

    Inaspettata, Rosalba Santoro, l’angelo della “Cantata dei pastori”, abbraccia una chitarra e suona “La ‘nferta”, la carità, una supplica che fu di Concetta Barra. La sua voce è dura, sa di terra e di fatica. Riporta alle visioni delle janare, streghe, incantatrici, donne che girano di notte e fanno paura a principi e re.
    Immagini e suoni si mescolano e il blues incontra la pucundria, quello stato d’animo partenopeo che non si può tradurre in italiano.
    Malinconia, riscatto e qualcosa che continua ad essere suonano insieme.


    Daniela Morandini

    Nella foto Rosalba Santoro

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