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    Cayenne

    cayenneGatto Randagio era tornato questa settimana da un giretto a Venezia, carico di appunti e un po’ di cose da raccontarvi della laguna. Ma… due lettere nella cassetta del posta, hanno riportato il pensiero a chi un giretto a Venezia mai lo potrà fare. E neppure affacciarsi sulla strada a pochi metri dal muro di cinta del carcere delle sue prigioni. Pensieri foschi sono arrivati l’altra sera, sulle ali di due buste malconce, due buste arancione, che quasi sempre color arancio arrivano da lì ( e già è odore di costrizione, che le buste per le lettere, in carcere, puoi comprarle solo come te le vende “il convento”). Disperanti, sia l’una che l’altra, che neppure ve le racconto, che neppure mi credereste, anche per la banalità del male delle minuzie che esasperano quella non vita …
    Giusto oggi, che già devo trovare le parole per la presentazione di un libro che rabbrividisco ogni volta che lo sfoglio:“le Cayenne italiane. Pianosa e Asinara: il regime di tortura del 41bis”. L’ha curato, questo libro, Pasquale De Feo, in carcere dal 1983, aveva 22 anni, e il 41bis l’ha “assaggiato” per quattro anni… Pasquale De Feo, forse ve ne ho già parlato, che nello studio della storia cerca le ragioni della sua vicenda personale, non per trovare giustificazioni, ma per capire…
    “Questo libro raccoglie testimonianze di persone che hanno trascorso anni e anni in regime di 41bis. Di cosa si tratta nello specifico capirete dai loro racconti. E’ cosa che va oltre quanto è possibile immaginare scorrendo le inumane restrizioni a cui detenuti in regime di 41 bis sono sottoposti… Ma tanta brutalità non nasce dal nulla. Nei miei lunghi anni di carcerazione ho letto e riletto della storia d’Italia interrogandomi sulle cause delle condizioni del nostro Sud e della gente che lo abita. E’ una storia, ho capito, che parte da molto lontano”. .
    E ci vuole coraggio a leggere questo suo lavoro, come coraggio c’è voluto a raccontare, a ricordare…
    Una testimonianza: “… Poi arrivò il mio turno. Entrai in una stanza, c’era un tavolo e una coperta a terra, mi dissero di spogliarmi, così rimasi nudo, iniziarono di nuovo a bastonarmi, mi dissero di fare le flessioni, mentre le facevo si misero a picchiarmi senza sosta. Dopo un quarto d’ora di questo trattamento mi dissero di rivestirmi, ma continuavano lo stesso a menarmi. Si fermarono solo un attimo per dirmi: “qui comandiamo noi”. E questo fu solo l’inizio… I dettagli, di questa e altre storie, se volete, potete andare a leggerli, che io non reggo oltre… L’editore è Sensibili alle foglie, per la collana curata dall’associazione Liberarsi.
    “Solo la sera con la chiusura del blindato ci sentivamo più sicuri, con la speranza che la giornata delle botte fosse terminata”.
    Le testimonianze raccolte in queste pagine sono qui a ricordarci quello che di inimmaginabile può accadere, come è accaduto, sull’onda dell’emergenza, nel nostro passato prossimo. Cose, si sottolinea, che nessuno conosce. Cose che se pure se ne è sentita l’eco, forse si preferisce cercare di non sapere…
    Inviate a Pianosa e all’Asinara, negli anni ’90, persone appartenenti, o presunte tali, ad associazioni di stampo mafioso, presero, dopo un breve intermezzo, il posto lasciato da persone che avevano partecipato alle bande del nostro terrorismo, per le quali quelle specialissime carceri furono allestite. Sembra basti questo per giustificare un’alzata di spalle. La parola “mafioso” sembra essere diventata una parola magica che a tutto ci autorizza, in termini di repressione e violenza nei confronti degli individui. Ci autorizza ad aprire pericolose aree di sospensione del diritto., dove però tutto può precipitare. A cominciare dalla nostra “civiltà”.
    Basta guardarsi appena alle spalle. C’è un filo rosso che lega quel che accadde a Pianosa e all’Asinara ai fatti del G8 di Genova. alle inaudite violenze della caserma Bolzaneto …
    Pianosa e l’Asinara, nello specifico, sono state chiuse. Ma rimangono comunque le circa 700 persone sottoposte al regime del 41bis, regime durissimo anche se (si spera) linciaggi non dovrebbero più essercene. Rimane una vera barbarie. Una tortura, per i tempi e i modi.
    Eppure, eppure… ora che ho fra le mani le due ultime lettere che mi arrivano dal carcere, e rileggo di quel che accade a chi me le manda, ripenso alle ordinatarie piccole enormi violenze quotidiane, fatte di negazione a volte del minimo, di distrazioni burocratiche che rendono la vita un inferno, che offendono la dignità. “Tutto bene”, mi ha scritto una volta una persona, “ma sono molto depresso, il bagno (uso un eufemismo), è a vista di chiunque passi per il corridoio… questa cosa mi abbatte enormemente”. Provate a immedesimarvi… e cosa c’entra con la mancanza di libertà in cui “solo” dovrebbe consistere la pena?
    Sono, i miei amici di penna, per via delle leggi emergenziali degli anni ’90 e gli automatismi che ne derivano, esclusi da ogni beneficio, scontano una pena perpetua e immodificabile e nonostante il tempo, e quel che in loro nel tempo è cambiato, e l’impegno e gli studi, vengono continuamente ributtati indietro, in un pozzo senza speranza.
    E non è questa tortura fisica e psicologica altrettanto grande, se non più grande perché senza fine, di quelle pur terribili dell’Asinara? Levare la speranza. Infliggere, di fatto, una pena di morte camuffata. “Ma cosa debbo fare, io , dopo trent’anni di questa vita”, mi ha scritto uno di loro, “per dimostrare che non sono più il delinquente di una volta?”. Ma sembra non importi a nessuno.
    Parlandone con un’amica, Nadia, che ben più di me di carcerazioni si occupa, e chiedendole e chiedendoci che senso abbia parlare di rieducazione se poi teniamo in carcere le persone fino alla fine dei loro giorni: “Per farle morire rieducate” ha risposto lei, con la sua solita lieve feroce ironia. “Così Dio è più contento?”, chiedo a lei ben più vicina a Dio e dintorni di me. “No, non credo proprio che a Dio importi, è che sono gli uomini ad essere così più contenti”.
    Con tutte le differenze del caso… non riesco a non pensare al tempo dell’Inquisizione… a quel morire fra le torture che, almeno, “arriverai a Dio redento”…
    Scusate questi pensieri torbidi e poco domenicali… la prossima volta vi parlerà di Venezia….

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