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    “Dal ritorno”. La vita rimasta laggiù…

    Oggi che in troppi sembrano dimenticare…

    «Caro Silvano, quando ci siamo incontrati, una sera di dicembre, mi hai chiesto di accompagnarti. Volevi tornare laggiù, nel luogo di cui sei sopravvissuto. Io sono sempre laggiù, mi dicevi. In vita, solo, nell’incredulità dell’esistenza. Abbiamo iniziato il viaggio. Sei dovuto sopravvivere, di nuovo».
    Silvano Lippi che, ufficiale dell’esercito durante la guerra, era stato nel 1943 in Grecia, e dopo aver rifiutato l’adesione alla Repubblica di Salò fu prigioniero nei campi di concentramento. In Grecia, in Germania, in Austria. A Mauthausen fu addetto ai forni crematori. Silvano Lippi, che per sessant’anni ha taciuto, e poi…
    La sua storia mi è venuta incontro, tremenda e dolente, come una vertigine, dalle pagine del film di Giovanni Cioni, “Dal ritorno”, con il quale Lippi ha condiviso il tempo, infine, della parola. E sono due uomini che si incontrano, e si accompagnano nel viaggio verso “laggiù”… Silvano che parla e Giovanni che accompagna, in sospiri interroga e ascolta, e con lui tutti noi siamo catturati dal procedere del racconto.
    Testimonianze imprescindibili. Quanto mai importanti oggi che troppi sembrano dimenticare e… “stiamo scendendo nell’abisso”, scrive Ezio Mauro. Qui, è l’uomo “del ritorno senza fine”, che vediamo impresso negli occhi scavati dal tempo di Silvano, dove vedi scorrere, incancellabile, il passato perché “nella mente mia non s’è mai cancellato niente, minuto per minuto,… è come un cinematografo”.
    Ancora una volta è straordinaria la capacità di Giovanni Cioni di filmare la parola (ne avevamo parlato per altro lavoro https://www.remocontro.it/2019/12/08/la-vita-non-e-sogno-nuvole-carcere-di-capanne-perugia/). Ora è quella di Silvano che “è sempre laggiù”, e pure è così vicino che quasi a tratti si avverte sul viso l’alito flebile delle sue parole, che ti fanno vedere quello che lui ha visto…
    “A Mauthausen fui messo ai forni crematori, prima alle camere a gas, a prelevare i morti… che non è cosa facile da raccontare, perché i gassati sono davvero tremendi… quando vai ad aprire la porta… lo sterco, l’urina, avvinghiati l’uno all’altro…per cercare aria libera… tutti ammucchiati e avvinghiati, ci vogliono ore, per scioglierli…”
    E poi il giovane russo che, costretto, “lo affogai”… le malattie che divorano la carne, la notte nudo nel ghiaccio… le torture, la corrente elettrica nel corpo, e tutte le scene infernali, tremende da pensare… E il ricordo di Katia, dopo la liberazione, l’infermiera che si innamorò di lui, a curargli la pelle attaccata alle ossa e i tagli e i bubboni…
    E’ sopravvissuto, Silvano, anche all’incredulità delle persone, incontrate al ritorno. “Anche mio padre penso non mi credesse…”
    “La sua vita è rimasta laggiù – spiega Cioni-, eppure ha vissuto, nella sua sopravvivenza, ed è questo vissuto, dopo, che volevo interrogare. Cosa vuol dire, sopravvivere, la vertigine della solitudine, quando tutti quelli che potevano ricordarsi di quello che ha vissuto, laggiù, sono scomparsi?”
    La vita poi comunque vissuta… sono le foto del matrimonio, il filmino coi bambini, una gita in Grecia… le immagini della vita che corrono parallele a quelle della morte nascoste nel cuore…
    “Io non dovrei piangere, mi dice mia figlia. Ma come posso non piangere… io ho tutto qui, minuto per minuto”. Tutto quello che non possiamo immaginare, come dice Silvano negli incontri, che ha poi avuto, anche e soprattutto con ragazzi, da quando ha deciso di raccontare.
    Le riprese sono durate mesi, spesso interrotte perché Silvano è stanco. Il tempo di diventare amici, lui e il regista…
    Aveva chiesto, Silvano, di essere accompagnato “laggiù”. Ed era pronto a partire ma, la sua salute incerta… Così Giovanni Cioni è partito da solo, nel settembre del 2014.
    Dà brividi di tenerezza e spaesamento insieme l’ultimo dialogo.
    Da Mauthausen l’amico Giovanni telefona all’amico Silvano: “Pronto lo sai che sono qui a Mauthausen… dio bono…Te l’avevo detto che venivo… “
    “Hai visto?”
    “Ho visto, ho filmato e ti penso…”
    E gli occhi del regista sono gli occhi di Silvano, che tutto vedono…
    “Immagini? Mi ci vedi dentro? T’immagini quando mi ficcarono i fili della corrente nel sedere? Ti aspetto Giovanni”.
    Ma il cuore di Silvano non ha retto il tempo dell’ultima breve attesa. E dopo qualche giorno se ne è andato…
    Rimane questo straordinario documento, che per farlo “dovevo quasi dimenticare quello che sapevo o credevo sapere, dalle mie letture, dai film visti, sui campi”.
    I lavori di Cioni hanno sempre la potenza ruvida della vita, una grande capacità di scavare nell’Uomo e con l’Uomo confrontarsi. Ho visto questo film due volte. Ogni volta un’emozione fortissima. Indimenticabili gli occhi, il profilo di Silvano, che mai ti stanchi di guardare. Le pause sono pochi dettagli di mura sgualcite e qualche parete e buchi di tubi e qualche finestra sbarrata e buio e buio e buio… Ti si inchioda addosso, tutto quel buio, insieme al breve profilo in controluce di una farfalla sul limite di una finestra, dietro le sbarre, che muove appena le ali e la pensi che tutto ha visto, anche lei, e la pensi morente…
    «Dal ritorno ». Un film da vedere, e non solo nel giorno della memoria (domani comunque, per chi è di Firenze e dintorni alle 16:00, proiezione e incontro col regista, al circo ARCI, R. Andreoni, di via D’Orso https://www.youtube.com/watch?v=-I1hjZ5qCgQ). Un film che, come è stato detto, non è sulla memoria. Ma sullo smarrimento, che ciascuno di noi e tutta la storia dell’uomo riguarda.

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