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    Il carcere come i manicomi e la via indicata da Basaglia

    <Durante la resistenza Franco Basaglia aveva conosciuto il carcere come prigioniero politico. La sua prima impressione era stata quella di “entrare in un’enorme sala anatomica, dove la vita aveva l’aspetto e l’odore della morte”. Dopo più di quindici anni, Basaglia varca la soglia di un’altra istituzione totale, il manicomio, anche se questa volta come direttore: “Ero dalla parte del carceriere, ma la realtà che vedevo non era diversa: anche qui l’uomo aveva perso ogni dignità umana; anche il manicomio era un’enorme letamaio”>

    Nei libri sempre si cerca ciò su cui la propria mente continua a interrogarsi… così, leggendo la monografia su Franco Basaglia (“Franco Basaglia”, di Mario Colucci e Pierangelo di Vittorio, riedito da Alpha Beta Verlag a quarant’anni dalla scomparsa dello psichiatra), non posso che ripensare continuamente a quanto il carcere svolga oggi la funzione che avevano una volta i manicomi… E sfogliando le pagine di questo densissimo lavoro, non posso non pensare a come potrebbe essere guida, e che guida!, per un percorso che, sulle tracce di quello che ha portato ad aprire le porte del manicomio, arrivi in futuro ad abbattere anche le mura delle prigioni… un percorso che, come ha radicalmente cambiato il rapporto con la follia, possa portare a cambiare anche il nostro rapporto con la devianza e il crimine e quindi con il concetto di pena.
    E questo perché “fra le istituzioni della violenza, il manicomio costituisce un punto tragicamente privilegiato, a partire dal quale si può osservare la continuità e l’implacabilità del funzionamento di un meccanismo istituzionale di controllo della devianza dalla norma, che attraversa trasversalmente la nostra società”.
    Non prendetela come provocazione, piuttosto come offerta di spunti di riflessione. Azzardo dunque alcuni punti…
    Intanto, una parola sul libro, che ricostruisce, insieme alle tappe del cammino per il ritorno alla dignità di chi dalla società veniva “scartato”, il complesso profilo umano e intellettuale di Basaglia, la sua passione filosofica, l’impegno politico, le riflessioni e la sperimentazione medica e istituzionale, che matura anche nel confronto con grandi pensatori come Sartre, Fanon, Goffman, Foucault… percorso di altissimo livello, ricchissimo e complessissimo che mi è impossibile riassumere, ma che una prima cosa a tutti può insegnare: il coraggio di far esplodere le contraddizioni. Che è quello che Basaglia (che pure quando arrivò a Gorizia ebbe col manicomio un impatto così violento che, racconta Terzian, pensò di dimettersi “perché gli appariva insopportabile una realtà del genere”) è riuscito a fare con la psichiatria, nel nostro paese, allora, una delle più reazionarie d’Europa…
    E quanto è ancora importante e utile il suo pensiero, oggi, “davanti alle nuove forme di segregazione, alla biopolitica, alla tendenza a nascondere le forme sociali del disagio…”, alla tendenza a negare la complessità delle cose. Che è ciò che facciamo con tutto ciò che non ci piace e non vogliamo riconoscere parte della società: matti, malati, clandestini, devianti, delinquenti…
    Basaglia procede chiedendo, a sé e agli altri intorno a lui, il coraggio di andare sempre oltre. Non gli basta il tentativo di umanizzare il manicomio, perché presto comprende, ad esempio, che la comunità terapeutica “rimane ugualmente un mezzo di controllo sociale”. Non gli basta la lotta contro l’istituzionalizzazione interna del malato, è necessaria anche quella contro l’istituzionalizzazione esterna…
    Pensando dunque all’istituzione carcere, che nonostante l’impegno e la buona volontà di tanti che pure vi lavorano, rimane sostanzialmente la negazione della persona, dell’uomo… area di sospensione del diritto…
    “Credo che ognuno di noi sorrida quando si dice che la prigione e il manicomio hanno come obiettivi la riabilitazione dei loro ospiti, in realtà, tanto il manicomio come il carcere servono a confinare le devianze dei poveri, a emarginare chi è già escluso dalla società”, parole quantomai attuali che Basaglia pronunciò in una delle conferenze che tenne in Brasile nel 1979.
    Chiuso l’uno, il manicomio, rimane l’altro, il carcere, carico dello stesso odore di morte, che chi l’ha sentito anche solo una volta non può dimenticare. Che è cosa che sempre sconvolge, perché anche se molto già sai, c’è sempre qualcosa che mai riusciresti a immaginare. A cominciare dalle tante malattie del corpo e della mente che sono le condizioni stesse del carcere a determinare.
    E davvero le carceri sono contemporanei “manicomi”, non solo in senso “figurato”, dove la malattia mentale è molto più presente di quanto si pensi. Qualche dato: il 4 per cento dei detenuti affetto da disturbi psicotici, il 10 per cento colpito da depressione, il 65 per cento convive con un disturbo della personalità. Senza parlare del grande uso di psicofarmaci, di fatto una sorta di contenimento chimico… e c’è una sindrome precisa che si riferisce al “complesso dei danni che nascono dal prolungato soggiorno in luoghi chiusi, dominati dall’autoritarismo e dalla coercizione”… Ma che volete, anche qui a prevalere sono le esigenze dell’istituzione, e del compito di controllo sociale che all’istituzione abbiamo consegnato…
    Certo, non è argomento che si possa risolvere in poche righe… ma sono convinta che in molti punti il percorso del pensiero di Basaglia sia applicabile a ogni altra forma di istituzionalizzazione.
    Il margine di libertà, insegna ad esempio, è condizione indispensabile per qualsiasi incontro terapeutico. Aggiungendo, o sottraendo…, il margine di libertà, credo, è condizione indispensabile per qualsiasi incontro, perché “soltanto sulla base di un rapporto con uomini liberi si può costruire qualcosa”. E questo vale sempre e comunque. Come “nulla può accadere in una logica istituzionale che continua a seppellire il malato sotto la malattia”, così nulla di buono può accadere se si seppellisce il “colpevole” in un sistema che in sé produce violenza…
    Il filosofo Basaglia ricorre alla “sospensione del giudizio”: mettere tra parentesi le certezze del positivismo scientifico, l’accettazione acritica del dato… per incontrare l’uomo e non la diagnosi… Così bisognerebbe mettere tra parentesi anche tutte le “certezze” che portano al carcere, a un sistema che non risolve la violenza. Sapendo che la soluzione all’inferno che abbiamo creato è già tutta nella Carta Costituzionale, che mai, parlando di pena, rimanda al carcere.
    Certo ci vorrebbero politici della levatura di quelli che compresero la necessità della riforma da Basaglia proposta, una Tina Anselmi, un Aldo Moro…
    Certo il prezzo da pagare è alto, ci vorrebbe il coraggio di una visione implacabile delle nostre contraddizioni… la capacità di mettere in discussione ruoli, rapporti di potere… ci vuole coraggio, come quello dimostrato da tutta l’equipe medica di Gorizia che nell’ottobre del ’72, non accettando mediazioni accomodanti, rassegnò in blocco le dimissioni contro un’amministrazione provinciale che ostacolava la creazione dei centri territoriali di cura pure già da tempo programmati…
    E proprio leggendo delle ultime tremende notizie dal carcere, delle denunce di torture e illeciti di cui pure avrete sentito, del numero delle persone che in carcere muoiono, mala cura, suicidi o “overdose” che sia (tutte cose che nulla hanno a che fare con la lotta ai mali endemici del nostro paese, dalla criminalità alla corruzione…), Vittorio da Rios, con cui spesso si ragiona del mondo, si è chiesto e mi ha chiesto: ma se si dimettessero i direttori, i magistrati di sorveglianza, gli educatori… a far scoppiare questa contraddizione di un sistema che produce la violenza che dichiara di combattere?
    Ci vuole coraggio, a far scoppiare le contraddizioni, ma è a mio parere una delle cose più importanti che insegna il pensiero di Basaglia, che proprio sul finire dell’agosto di 40 anni fa se ne è andato…
    Lasciandoci l’eredità della sua scandalosa radicalità dalla quale ancora tanto abbiamo da imparare…

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