Sono già in fiore le piante di ferula, in Sardegna, e la strada che si arrampica verso Nuoro è qua e là punteggiata del giallo dei suoi fiori… e viene voglia d’abbandonarla per andare incontro al fiorire d’asfodelo che “lì i monti ne sono pieni… Durante l’estate, persi i fiori, sulla cima dell’arbusto rimangono i semi. Le pecore ne sono ghiotte… durante la notte stanno a testa in su per mangiare il seme e nel buio, da come brillavano i loro occhi, alle volte avevo l’impressione di vedere una città illuminata in lontananza…”. Ritornano le parole del racconto di Mario Trudu pastore…
Ne parlo sempre, di Mario… entra nel trentottesimo anno di detenzione. In tutto questo tempo ha avuto solo due permessi d’un pugno d’ore, una quindicina d’anni fa… e davvero, andando a Nuoro per la presentazione di un documentario voluto da “Nessuno tocchi Caino” e girato nel carcere di Opera, “Spes contra Spem”, speravo, speravamo tutti, che questa volta ci fosse anche lui. Ma la magistratura di sorveglianza ancora una volta ha detto ‘no’. E non importano gli anni trascorsi in prigione, il cammino fatto, la pazienza, il tempo…
Eppure anche il sindaco del paese dove è nato, Arzana, si era dichiarato disposto ad andarlo a prendere e poi riportarlo nel carcere di Oristano… assumersi la responsabilità delle poche ore di libertà che tutti per lui aspettavamo… lo sperava davvero il suo avvocato, Monica Murru, che continua a tessere relazioni, occasioni, percorsi… Spes contra spem… la speranza contro ogni speranza…
E senza crederci ma credendoci, questa volta se lo aspettava anche lui, Mario, che aveva chiesto ai parenti, nell’ultima visita, di portargli una camicia bianca e una giacca, e “questa volta, Francesca- mi aveva scritto- se vengo, ti potrai riposare, questa volta parlo io”…
Ma è toccato ancora una volta a me leggere una sua pagina… Non entro nel merito di chi giudica e decide, ma un solo pensiero mi ronza nella testa: “maximum ius , maxina iniura”. Sì, facendomi schermo dietro il pensiero di Cicerone.
Restiamo comunque tutti pieni di speranza e tremore…
Tremore, sì. Perché riuscite a immaginare che significa uscire da un carcere, sia pure per poco, uomo tra gli uomini dopo una vita al chiuso?
Ve lo racconto, con alcune parole di una lettera che ho da poco ricevuto, da Alfredo Sole ( anche di lui parlo spesso… che volete… sono i miei amici di penna…) che è una delle persone, con pena dell’ergastolo, protagoniste del documentario girato ad Opera, e che, lui sì, ha avuto un permesso di qualche ora per essere presente alla proiezione del filmato all’università della Bicocca.
Non avete idea di quante cose inimmaginabili è fatta la non vira di un ergastolano, e quanto quella non vita, invece che avvicinare, chiuda al mondo. Solo qualche impressione, dopo un quarto di secolo al chiuso, sbarcando in una realtà diventata estranea…
“In un primo momento, quando sono sceso dal furgone e sono entrato dentro all’Università, ho domandato a un uomo della scorta che era accanto a me se camminavo diritto o barcollavo. Avevo la sensazione di non avere l’equilibrio necessario per andare in linea retta”.
E poi la gioia di parlare con gli studenti…. E poi un salto al bar dell’università. “Quello che mi ha colpito è stato l’odore dei cornetti caldi e il rumore di tazze. Mi sono fermato all’entrata per assaporare quel momento. Un senso di libertà mi ha completamente pervaso fin dentro l’anima. Hanno ordinato un caffè anche per me. Non bevevo quel nero liquido caldo dentro una vera tazzina da venticinque anni. Quello che mi è sembrato strano è il peso del cucchiaino e anche della tazzina”. Sapete che in carcere è solo plastica. Riuscite a immaginare 25 anni di plastica…
Quel caffè era davvero buonissimo…
E poi affacciarsi in strada e non riconoscere un solo modello di automobile…
“Io mi ero ‘rassegnato’ al mio destino. Adesso, dopo aver assaggiato, anche se per poche ore, la libertà, beh, ho capito pienamente cosa mi sono perso e quello che ho visto adesso lo voglio!
Non ho mai pensato alla libertà. L’ho sempre tenuta lontano dai miei pensieri, ora invece è dominante nella mia mente.”
Così scrive Alfredo, che racconta tutto quello che ha dovuto e potuto dare, e l’ha dato. Che tanto ha fatto e pubblicamente ha preso le distanze dalla criminalità alla quale è appartenuto (dissociazione, si sarebbe detto in altri tempi e contesti, e qualcosa ne sarebbe disceso…). E ora restare in carcere fino alla fine dei suoi giorni, non è giustizia. “Solo sarebbe vendetta”.
Sarebbe stato importante se anche Mario Trudu avesse potuto verificare se, fuori per il tempo di un respiro dopo 38 anni, sarebbe stato capace di camminare in linea retta o barcollare… se avrebbe riconosciuto una sola delle automobili incontrate per strada… che impressione avrebbe fatto, a lui, il peso di una tazzina di caffè. Ci saremmo emozionati insieme parlando dello strano peso di un cucchiaino…
Eppure, nell’incontro di Nuoro, che molto ha ruotato intorno alla sua assenza, si è aperto il cuore… quando Gerardo Ferrara, che con noi e tanti altri è in questo cammino in direzione ostinata e contraria, ha invitato a parlare Eleonora, una giovane studentessa. Eleonora, che vive a ridosso di Badu e’ carros, e racconta di quanto ne avesse paura, di quel carcere e delle persone che ci sono dentro. Finché un giorno vi è entrata per un incontro organizzato dalla scuola. Da allora, racconta, ha capito che non è possibile voltarsi dall’altra parte,… E come lei Francesca, ricca di pensose riflessioni sulle nostre contraddizioni.
Eleonora e Francesca si sono unite alle nostre speranze e tremori… E intanto, insieme ad altri compagni, hanno mandato a Mario Trudu messaggi… Saranno loro, sono certa, a occuparsi ora delle sue parole… dei suoi bellissimi disegni… con i quali, insieme con Gerardo Ferrara, organizzeranno, ad Arzana, una mostra per parlare di durezze e di speranze. E Gatto Randagio attraverserà di nuovo il mare per raccontarvela…