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    La magia del Festival delle Abilità

    “Inclusione è una parola magica, quando esiste svanisce”, parola di Antonio Giuseppe Malafarina, giornalista, autore fra l’altro del blog del Corriere “Gli invisibili”. E meglio non si potrebbe cogliere lo spirito del Festival delle Abilità, che da venerdì 16 fino a domenica 25 affollerà il parco biblioteca Chiesa Rossa di Milano. Affollerà mi sembra la parola giusta, ché a scorre il programma c’è davvero da perdersi…
    Fra mostre di fotografia, pittura, libri, e spettacoli di teatro, musica, danza, e poi laboratori, e talk, su famiglie, Yoga, sugli animali… (e comunque tutto il programma lo trovate qui https://festivaldelleabilita.org/ ) una rassegna di arti performative, si spiega, una festa di inclusione sociale che vuole permettere a tutti di mettere in risalto le proprie capacità a prescindere dalla propria condizione.
    Insomma, un evento culturale che vuole valorizzare i talenti delle persone, con o senza disabilità.
    Scorrendo il programma, ritrovo nomi incontrati nel periodo in cui mi sono occupata della trasmissione radiofonica “diversi da chi?”… e ancora mi riempie di ammirazione e di stupore sapere di Felice Tagliaferri, scultore di fama internazionale, oggi al festival milanese per guidare un laboratorio di scultura. Tagliaferri, che a 14 anni perse la vista. Avrete sentito parlare del suo “Cristo Rivelato”, una riproduzione del Cristo Velato della Cappella Sansevero, a Napoli, che lo scultore realizzò dopo che non gli fu permesso, in visita alla cappella, di toccare la famosa scultura di Sanmartino, unico modo per lui di apprezzarla. Il suo Cristo, che tutti hanno potuto toccare, rivelato a tutti, ma proprio a tutti.
    La sua opera, il suo impegno, risuona qui come le note di un canto, che insieme a quello di tutti gli altri, compone quell’inno alla libertà che il festival vuole essere. La libertà di vivere come tutti “per riscrivere l’immaginario della cultura contemporanea, per farci dimenticare il prefisso dis dalla parola disabili e promuovere una cultura dell’abilità”.
    E a proposito di inno alla libertà, fra tante suggestioni che arrivano scorrendo il programma del festival, mi fermo su un nome, che mi è stato segnalato da Martina Gerosa, infaticabile costruttrice di ponti: Gholam Najafi, giovane Afghano, a dieci anni fuggito dall’Afghanistan, e approdato in Italia, dove ora risiede, dove si è laureato, e fa lo scrittore, il traduttore, il mediatore culturale… Al festival presenterà il suo libro, “Il mio Afghanistan”. La sua storia, difficile come potete immaginare, il suo coraggio, inimmaginabile, e ora è qui, preziosissima voce, a spiegare che “l’intreccio di lingue e di culture ci salverà”..
    Leggendo di lui, il mio pensiero va anche a Franco Bomprezzi, alla cui memoria è dedicato un premio. Franco Bomprezzi, eccezionale collega, scrittore e poi blogger, che adesso non c’è più. Costretto per una malattia fin da piccolo su sedia a rotelle, per tutta la vita ha lottato contro i pregiudizi. Ne avrete letto in molti i suoi illuminanti interventi, fra le tante cose che ha fatto, nelle pagine del Corriere. Risento il tono caldo e sorridente della sua voce…
    “Ho anch’io il vizio di vivere”, diceva. Il vizio di vivere di un comunicatore. “Voglio essere un comunicatore, ossia una persona che mette in comunicazione mondi e culture che spesso non si parlano, non si ascoltano, non si conoscono”. E grande comunicatore è stato. Mi ha insegnato molto a proposito di abilità e disabilità, su come raccontarla, la disabilità, senza ipocrisie e falsi pietismi. Voglio ricordare ancora una volta che a Franco non piaceva per nulla quel “diversamente abile” che a un tratto è “qualifica” che ha iniziato a imperversare ovunque. “Non sono e non sarò mai diversamente abile”, insisteva.
    E come non pensare a quanto questo festival è informato al suo pensiero. Il festival delle abilità, appunto. Delle abilità di tutti, che nulla e nessuno è “diversamente”…
    Sarebbe piaciuto moltissimo a Franco questo incontro così affollato e ricco. Gli sarebbe piaciuto molto incontrare Gholam Najafi e intrecciare con lui pensieri.
    Sì, sarà l’intreccio di lingue e di culture a salvarci. Diversamente saremo tutti “ugualmente” persi.

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