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    L’aquila e il bambino

    aliou kamissoko (3)La prima volta che l’abbiamo vista, io e il Randagio, era forse appena arrivata nel quartiere. Un viso e un corpo d’ebano, avvolta nei colori delle splendide stoffe d’Africa… e un bambino con gli occhi enormi che le saltellava vicino, sgusciava, si allontanava, ridacchiava guardandosi intorno. Si era seduta, un po’ sfinita, sulla panchina, sotto uno smilzo alberello, che la primavera non aveva ancora vestito di foglie, a vendere collane. Gliene ho comprate due, devo dire bellissime, di perle di legno colorato…
    “Fabio!, torna qui, la signora è brava…”, mentre trattavamo sul prezzo ha richiamato a sé il bambino che, birbante e allegro, ancora le sfuggiva e “pericolosamente” caracollava sul bordo del marciapiede.
    Fabio? Nome italiano… “Sì, un nome italiano…”. Forse augurio, viatico per la giovane vita che muove i primi passi su questa riva, scelto da una mamma che ha lasciato alle spalle, di là dal mare, la sua terra. “Burkina Faso”, mi ha detto…
    E mi è venuto in mente l’inizio di un bel racconto che narra del Burkina Faso e del suo leggendario presidente, Thomas Sankara, cui costò la vita il sogno di un’economia di pace che potesse sollevare il paese dalla miseria. Pensate… solidarietà, sobrietà, produrre solo quel che si consuma… Sogno pericolosissimo. Avrebbe minato alla base le regole su cui poggia il nostro avido mondo. Ma non è di questo che ora vi voglio parlare…
    Iniziava, quel testo, ricordando che le foglie negli anni raccolgono le storie che porta il vento. Ogni foglia ha il suo colore, i suoi segni, i suoi racconti… E chissà quanti e quali racconti sussurrano, a questa donna africana, le foglie dell’albero sotto il quale è tornata e torna ogni giorno a sedersi. Ora che l’albero è ricco di foglie e d’ombra…
    L’abbiamo vista anche ieri, io e il Randagio, e ci siamo chiesti quale delle fiabe portate dal vento stesse raccontando al suo Fabio color cioccolatino, per intrattenerlo nell’attesa di acquirenti di collane… e intanto spiegargli, come le fiabe africane sempre fanno, i perché delle cose del mondo e prepararlo alla vita che l’attende…
    “Sono sicuro – mi ha detto il Randagio – che gli ha raccontato la storia dell’aquila e il bambino. L’ho capito dallo sguardo preoccupato del bimbo, e da come, raccontando, lei lo carezzava, quasi a tranquillizzarlo”.
    L’aquila e il bambino. Fiaba antica, una delle più antiche, che spiega perché gli uomini si uccidono l’un l’altro…
    Al Gatto questa fiaba piace molto. Spiega, guarda la coincidenza…, che tutto è nato da un omicidio. Il primo omicidio… E la maledizione che ne è seguita ancora grava su di noi. “Mi aiuta a farmene una ragione – mi ha detto il Gatto – di quel che accade su questa terra”. Giusto in questi giorni, che abbiamo letto della follia delle spese in armi nel mondo…
    Così, tornati a casa, ha voluto che la raccontassi di nuovo anche a lui, la storia dell’aquila e il bambino. E forse non gli sarà venuta in mente per caso, perché anche in quella fiaba ci sono una donna, un bambino, un albero…
    “Dunque. Una donna aveva un bambino. La mattina – ho iniziato a raccontare più o meno come ricordo – prende la zappa e va verso i campi. Fuori dal villaggio si ferma sotto un albero per allattare il bimbo e lasciarlo lì all’ombra, poi s’allontana per iniziare il lavoro della terra. Ma a un tratto il bambino si mette a piangere. Lei posa la zappa, va ad allattarlo, lo calma e poi riprende il lavoro. Dopo un po’ ancora il bimbo si sveglia a piange, e questa volta la donna vede un’aquila planare verso di lui… accarezzarlo con le ali e calmarlo… La donna quel giorno non disse nulla al marito, né il giorno seguente… che ancora successe che al pianto del bimbo l’aquila scendesse dal cielo per calmarlo… Ma in seguito, turbata e piena di stupore per quel prodigio che si ripeteva, non poté che raccontare quel che era accaduto al marito”.
    “Che sbaglio! – si lamenta a questo punto il Randagio mettendosi le zampine sulla testa-. Non avrebbe dovuto… gli uomini capiscono poco di prodigi e di amore…”. Gli piacerebbe tanto, lo so, che un nuovo prodigio mutasse il finale, ma…
    “Ma, che dire, l’uomo non le credette e il giorno seguente andò con la moglie ai campi, portando con sé arco e freccia. Ancora il bimbo, lasciato solo sotto l’albero, si mise a piangere, ancora scese dal cielo l’aquila ad accarezzarlo. Ma l’uomo ebbe paura per il figlio e scoccò la freccia che però colpì il bambino. E l’aquila infuriata lo maledisse: – Poiché hai ucciso tuo figlio tu ancora ucciderai. Tu sei stato il primo e dopo di te tutti vi ucciderete fra di voi –
    Maledizione che, come sappiamo, dura ancora oggi”.
    “Gli uomini… e il loro istinto guerriero… – ha sospirato il Gatto-. Se dessero più ascolto alle donne…”
    E per non pensare alle terribili cronache di morte che ancora infuriano nei notiziari, per non pensare a quanti sogni ancora si infrangono sulla nostra ferocia… ha tuffato la testa nei disegni dei ragazzi di Aiwa, Aliou, Ibrahim… per stordirsi di colori che, nonostante tutto, ancora parlano di vita… Donne al pozzo, donne in cammino sotto il sole, al lavoro sull’aia…
    “Sembrano raccontare – mi ha detto – quanto la donna sia ricchezza della terra… e quanto è vero quel proverbio che dice… Se le donne abbassassero le braccia cadrebbe il cielo”.
    Bisognerebbe far la prova, un giorno o l’altro, ad abbassare un po’ le braccia. Chissà che il mondo, al pensiero di quel cielo che potrebbe cadergli in testa, infine non rinsavisca…
    “Meglio non provare” ha tagliato corto il Gatto. Ed è risceso in strada.
    Tornerà, sono certa, portandomi una nuova collana, di perle di legno colorato…

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