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    l’ochino di dio

    Le avevo appena scritto un biglietto con gli auguri per la Pasqua, e ho ripensato alla sua storia. La storia di Gianna Schiavetti… così Gatto Randagio nell’ultimo suo appunro per Remo Contro, ha parlato di lei. Ecco qua:

    “Il 21 marzo molti avranno ricordato l’anniversario della nascita di Alda Merini. “… ma non sapevo che nascere folle / aprire le zolle / potesse scatenar tempesta…”. Grande poetessa. Avida di vita. Di fumo e di fantasmi… Che per la prima volta finì in un manicomio che era giovanissima. Andata in escandescenze, esasperata, in un momento difficile della sua vita. Fu lì, ha raccontato un giorno, “che credetti di impazzire”.  Leggendo di lei non ho potuto non pensare a un’altra donna, meno nota, che pure tutta la vita ha avuto a che fare con quella che chiamiamo follia e con l’incubo del proprio tempo imprigionato in manicomi. E scrive parole, qua e là accese di poesia. Si chiama Gianna, Gianna Schiavetti. Conosciuta la prima volta attraverso le pagine di un suo libro: “La schizofrenia non esiste e se esistesse vorrei averla” ( la solita Stampa Alternativa, che tutto ciò che per altri è  marginale accoglie: matti, detenuti, border line… ). Il suo è un diario, anzi una scelta da pagine di diari infiniti, che testimonia gli anni trascorsi dentro e fuori gli ospedali psichiatrici, più di trenta trattamenti sanitari obbligatori, la paura che si ripetino, le terapie farmacologiche mai accettate.

    Gianna ora è una signora di oltre settant’anni ma, a sentirla, la sua voce ha il timbro di una ragazza. Da quando ci siamo conosciute, sia pure solo al telefono, ancora ci scambiamo biglietti e lettere. Lei mi manda anche disegni. Un giorno me ne ha mandato un intero pacco, dai colori bellissimi. Appunti, queste piccole esplosioni di colore, del suo bisogno immenso di comunicare.

    Gianna ha scritto molto, anche se mi spiegò che non si può scrivere ovunque. Per scrivere, mi disse, è importante essere a casa, dove “l’atmosfera risuona con le mie vibrazioni interiori. Lontana dal frastuono violento del mondo…”. Adesso non scrive più, ma ancora dipinge. I suoi quadri, assicura, sono bellissimi. Come quello composto qualche anno fa, insieme a Gaugin… Sì, perché Gianna non dice bugie e confessa che neanche i libri sono farina del suo sacco. Il suo segreto? Tutte quelle “presenze amichevoli” che affollavano la sua casa, che le guidavano la mano… e, a sentirla parlarne con  tanto affetto, non puoi non vederle, quelle presenze, nella sua casa, a discorrere affabilmente con lei.

    Ne state sorridendo? Forse in passato ne ho riso anch’io, di queste storie, ma da quando ho letto e conosciuto qualcosa in più, so che è possibile ‘addomesticarli’ i propri fantasmi. E per chi avesse dei dubbi consiglio un libro, “Guarire si può”, ( collana 180, archivio critico della salute mentale, ed Alphabeta Verlag, altra sfida alle banalità nelle quali ci culliamo).

    La voce di Gianna si rompe a tratti quando ricorda gli amici, conosciuti durante i ricoveri. Molte amiche, ora tutte morte. Come la sua più cara amica, che era bellissima, “ma che un giorno era stanca, così tanto stanca che invece di andare all’appuntamento con l’analista si è suicidata”. Un venerdì. “Noi matti siamo fiori e uccelli, quelli come me sono fiori e uccelli”… Vi invito a leggere le sue parole, per cercare di avvicinarsi al cuore di quella cosa così profonda, e oscura e complessa che noi liquidiamo con la parola “follia”. Sono parole piene di sogni, di viaggi, di desideri, arrivano fino a Dio… “caro Dio, se scrivere è come pregare, aiutami”. E Dio, assicura, le ha risposto sempre, anche se con un po’ di ritardo, perché, mi ha confidato Gianna, “lui ha creato il tempo, ma non lo conosce”.

    Fino a qualche tempo fa, a Mantova, Gianna Schiavetti conduceva una trasmissione radiofonica su Rete 180. In diretta con Gianna. E dai microfoni ha continuato a condurre la sua battaglia, per sé e per altri, contro la violenza che è insita nelle condizioni di coercizione. A modo suo, con quel suo tenero accento bolognese… Qualche tempo fa l’appuntamento radiofonico è stato sospeso, e Gianna si è sentita come le avessero tolto la parola. “…ma la cosa più difficile- mi ha scritto con una poesia- è diventare/ adulta e vivere”.

    Gianna. Continua a mandarmi disegni, e poesie e appunti. Continua ad avercela con il mondo della psichiatria ( e come darle torto), ma c’è un medico, uno psichiatra con cui sembra aver fatto pace,  che chiama “Ochino”. Per la cronaca Ochino era l’anatroccolo nel giardino di un ospedale psichiatrico che, racconta, fu allevato da due galline… sì un po’ come la storia del brutto anatroccolo.  L’ochino di Gianna è il professor Baraldi. Il “suo” ochino, forse perché “psichiatra pentito”, che ha letto i suoi diari e, “come chiunque li abbia letti, non ha potuto che innamorarsi di me, … dell’amore buono che va al di là del tempo e dell’età”, ci tiene a precisare ridacchiando.

    Un’ultima cosa. Alla fine della nostra prima conversazione, Gianna ci tenne a sottolineare che nella sua ultima cartella clinica c’è scritto: ‘sembra rassegnata’. Ma lo è davvero? Avrei dei dubbi… Forse non lo è affatto. Ancora ride e si svela:  “… è che ho capito che bisogna imparare a far finta, a dire sempre di sì, e ad avere la valigia con le proprie cose sempre pronta, se un giorno dovessero tornare a prendermi”. Gianna. Che rivolgendosi a quel suo Dio a tratti chiede: “Sono forse io, il tuo ochino?”

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