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    Orchi

    Su un vagone del trenino, che porta fuori Roma. Lei è una donna giovane. Forse trent’anni. Forse molti di meno. Perché la vita, sul volto delle zingare, lascia presto i suoi segni più profondi. Lui è il suo bambino. Vivacissimo, con dei grandi occhi neri. Sconfinati, mi sembrano, mentre mi guarda monello. E una brutta tosse. Ma si muove e saltella e si alza e si risiede con l’energia curiosa dei bambini della sua età. Tre anni, mi dice la madre. Che lo afferra, lo lascia, lo riacciuffa, lo bacia. Ancora gli sfugge, lui mi sfiora. E, “non disturbare” lo ammonisce lei, indicando me che sono seduta lì accando. Il bambino mi fissa. Un’ombra di timore,  e  punta il dito verso di me: “Polizia?” mi chiede. Tre anni e, mi chiedo, quali e quanti gli orchi delle sue fiabe… “Polizia?” insiste. E, che sollievo, subito poi ridacchia…

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