More

    Orfeo negro, sulle rotte del mare

    mamadou 2Legui benn pekhe rekka am / Ora c’è una strada e io so
    Dama wara dem sama yoon / che devo andarmene
    Khamna ne Dama wara dem / So che devo andare…
    Fa un certo effetto ascoltare in Wolof, lingua del Senegal, i versi del canto di Cat Stevens, quel Father&Son che, raccontando del confronto fra un padre e un figlio che voleva spiegare le ali, ha accompagnato la voglia di fuga della nostra gioventù.
    Khamma dama wara dem…
    I know… I have to go… Io so che devo andare…
    Ma non potete immaginare il vortice d’emozioni che può nascere da quel canto e da quel confronto ambientati in un altro luogo e in un tempo molto più vicino. Siamo in Africa, e l’anno è il 2013, appena ieri…
    Un brivido… che domenica scorsa, nella casa della Cultura di Monserrato, alle porte di Cagliari, ci hanno regalato i Wax Baaxul (Poche chiacchiere, tradotto dal wolof)… Mamadou Mbengue, voce narrante e percussioni, Luca Pauselli, chitarra, e Momar Gaye, voce e percussioni. Serata del festival “Buon compleanno Faber”, dedicato quest’anno a Riace e dintorni.
    Prendendo spunto dal racconto con il quale Alessandro Leogrande ci aveva portati a bordo delle navi dell’operazione Mare Nostrum per pescare “le parole dai fondali marini in cui stanno incastrate e nascoste” (“Frontiera”, ricordate?) è nata una narrazione che tutti ha catturato, trascinati dal canto di Mamadou Mbengue.
    Mamadou ha davvero la forza del narrare dei griot, aedi dell’antica tradizione africana. Poeta e cantore, ha intrecciato racconti e suoni di corde e tamburi, per spiegare cosa succede in Africa quando un figlio va via.
    Ce lo siamo mai chiesti? Cosa succede…
    “… di nascosto ci si rivolge ad un marabout che facendo girare le conchiglie e leggendo nell’acqua vede gli ostacoli che il viaggiatore incontrerà e prepara gli antidoti… La sera prima della partenza si scelgono gli abiti con cura: non deve mancare l’abito più bello e non devono mancare gli oggetti che servono a dare coraggio e a non far sentire il distacco dalla famiglia. Una collana, un rosario, uno strumento musicale…”
    E lo vedi, nel volto di Mamadou, nei suoi capelli di terra e di vento, quel figlio che si avvia verso l’uscita, mentre la donna più anziana getta per terra dell’acqua. Come detta il rito…
    “Chi deve partire vi passa sopra” racconta Mamadou. “E da quel momento non può più tornare indietro, perché inizia il suo viaggio”.
    Come non pensarlo, quel figlio, contemporaneo Orfeo nero. I miti attraversano la storia del mondo, s’incontrano, s’intrecciano, si rinnovano… Anche l’Orfeo africano sa che non potrà mai più voltarsi indietro, se non vuole vedere il suo sogno dissolversi in un pianto di morte. E già tremi per lui, mentre il narrare è quasi soffocato dal ritmo delle percussioni, che è il ritmo impazzito del battito del cuore…
    “Ha paura. Ha molta paura e il suo cuore batte forte perché sa che per molti ragazzi come lui quel viaggio è terminato in mare”.
    Il racconto si srotola, e le parole e la musica diventano onde del mare, e sogni e speranze e, ancora, paura…
    Poi, la lettura delle pagine in cui Leogrande ha raccontato il naufragio di Lampedusa, una delle più gravi catastrofi marittime del Mediterraneo dall’inizio di questo millennio. E la mente di tutti corre a quel 3 ottobre del 2013, si ferma lì sul mare, a poche miglia dal porto di Lampedusa, va ai 368 morti (quelli accertati, si dice…).
    Tutti ne abbiamo letto le cronache, ma riascoltarne il racconto dalla voce di Mamadou, sferzata dal ritmo battente della musica, mentre le sue parole disegnano l’immagine di quella nave che passa che… “vengono a salvarci” e “alzano le braccia, urlano, cantano, imprecano, chiedono aiuto, ma il gigante di luce si rivela del tutto indifferente. La nave non si accosta. Si allontana”
    Yaay tumuranke naa waaye buko wax xaleyi, te buko wax baay…
    Non c’è bisogno di traduzione per capire…
    “Non ce l’ho fatta mamma, ma non dirlo ai fratelli né a papà”.
    Un brivido ha scosso l’anima di tutti noi che eravamo lì ad ascoltare il canto di Mamadou Mbengue… il nostro griot che, mi ha poi raccontato, quel viaggio l’ha potuto vivere in ben altro modo. Dal Senegal arrivato in aereo quasi vent’anni fa, ha ora qui in Sardegna la sua famiglia, un lavoro, è educatore, scrittore e vive nella musica delle sue parole. E anche questa grande isola oggi è la sua terra. Lo tradisce, scherza Maddalena ( https://www.remocontro.it/2018/02/25/querce-sardegna-vento-faber/ ), la sua cadenza campidanese… Lui che ha nel sangue l’arte del narrare del nonno Boubacar, che tante volte da bambino insieme ad altri bambini aveva ascoltato accoccolato all’ombra del baobab che era al centro della sua casa, compone percorsi di narrazioni rivolti anche ai più piccoli, profondamente convinto dell’importanza di diffondere la conoscenza delle diverse culture e insegnarne il rispetto. E quanta bellezza, e saggezza, sa regalare…
    Tornando alla serata di domenica… quel brivido, colto nella sua voce mentre racconta dei gorghi del mare, non ci ha più lasciati, neanche quando lui e gli altri artisti di Wax Baaxul, sono scesi dal palco. Altri brividi e altre rotte si sono intrecciate, e sul ponte della nave del festival, “capitanata” da Gerardo Ferrara, sono saliti Omar (https://www.remocontro.it/2017/12/17/omar-millequerce-anima-nomade/) e Wali (https://www.remocontro.it/2018/12/30/wali-mancato-bambino-bomba-speranza-di-futuro-afghano/ ), a regalarci i loro racconti e i loro appassionati cuori nomadi, qui a comporre insieme a tanti altri il paese dalle mille anime, senza le quali sarebbe tutto molto ma molto più triste…

    Ultimi Articoli

    Olympe, dunque…

    Censure…

    Il carcere, una casa morta…

    Il segreto del giardino

    Archivio

    Tag

    Articolo precedente
    Articolo successivo