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    Sonata di viaggio

    piras libroGatto Randagio…
    Pur randagiando randagiando… sempre interrogandomi e in qualche modo girandovi intorno, mai sono arrivata fino ad Auschwitz. Per via, chissà, del timore di non riuscire a trovare schermo al dolore, a sussurri e grida che mai lasceranno quei luoghi. Eppure, è un cammino che prima o poi bisognerà pure intraprendere. Ma partendo da dove? Me lo sono chiesta in questi giorni, leggendo di un cupo anniversario, il 30 novembre del 1943, l’ordine d’arresto per tutti gli ebrei, firmato RSI.
    Ebbene, una risposta, e un aiuto che indichi la via, l’ho trovata oggi in un libro. “Il dio che sta ad Auschwitz” di Natalino Piras ( edizioni letteratura alla macchia). Sottotitolo: Sonata di viaggio. Dove il diario del viaggio, “pacchetto 600 euro a persona, tutto compreso, organizzato da un’agenzia di Dorgali per 25 viaggiatori sardi, fra cui molta gente dell’Associazione nazionale Partigiani”, è solo un breve segmento di un itinerario molto più vasto che nel tempo e nei luoghi, anche della mente, scava, e scava, e scava… Libro complesso e pur lineare, con un’infinità di informazioni, che ci suggerisce, soprattutto, come guardarci dentro, come guardarci intorno…
    Perché, come scrive Piras, questo è “un viaggio nel tempo dilatato. (…) Io ero, io sono ad Auschwitz”. A partire dal ricordo del getto dell’infanzia, a Bitti. A partire dunque da Cadone, il quartiere dei ‘remitanos’, i miseri dei miseri, costretti un giorno alla diaspora ( dopo qualche tempo Cadone divenne una bella piazza pulita e viene da chiedersi quanti ‘Cadone’ ci sono stati, ci sono, intorno a noi e non vediamo)…
    Passando per gli appunti sulla Storia e sulle storie, di cui sempre troppo poco scopriamo di sapere, arriva poi, in giornate di un settembre freddo di pioggia, il tempo del viaggio reale. Per scoprire che “uno degli aspetti più sorprendenti della visita ad Auschwitz è la mancanza di sorpresa. Come se tutto dovesse essere scontato”. Ma l’impatto con la realtà storica e la sua memoria è tutta un’altra cosa, e se “io sono stato ad Auschwitz il 17 settembre 2013, da allora ci resto per sempre”. Perché per sempre poi si porta nel cuore l’incontro con quel dio con la ‘d’ minuscola che sta tutto dentro la Storia. Perché per sempre poi si porta dentro l’anima il colore di quei giorni e di quei mattoni scuri, e l’eco di una nenia accorata davanti ai luoghi e alle cose e ai nomi e ai volti: “poverittas, poverittos… poverittos, poveritteddos…”
    Sonata di viaggio, dunque. Con un controcanto. Che arriva sulle ali di Nemesi, nel racconto che ricorda l’esecuzione, infine, di Rudolph Hoss, che era stato il comandante del campo di Auschwitz, impiccato alla forca dove pure tanti prigionieri erano stati appesi. Nemesi che, avvicinandosi a quel luogo, “si sentiva corpo elettrico. Come avesse caricato su di sé tutta l’alta tensione che recintava a filo spinato le demarcazioni di Auschwitz e Birkenau”.
    Ma è soprattutto ricchissimo di canti, questo narrare di Natalino Piras, che è scrittore e poeta, e molto si è occupato fra l’altro di storia della Sardegna, dalla sua “terra sospesa”. Che soprattutto è, lo è stato fino a ieri, ‘storico’ bibliotecario della Biblioteca “Sebastiano Satta”, di Nuoro, attivissimo centro culturale, la cui ragione corretta sarebbe “Consorzio per la pubblica lettura”, che molto dice sullo spirito al quale è informata.
    E così questa ‘sonata di viaggio’ è ricca di racconti e appunti e lavori e pezzi teatrali e iniziative che Piras ha curato nel tempo, a coltivare memoria, a preparare futuro. Né l’una né l’altro, mi sono detta risfogliando le sue pagine, possono eludere l’incontro con Auschwitz. E la seconda parte del libro, Apparati e testi, è come un cercare e interrogarsi continuo, nella necessità dei racconti, nelle riflessioni, nei lavori, nelle citazioni di romanzi e film.
    A proposito, qualche tempo fa, al tavolo di una cena, si parlava di film da vedere o appena visti. Il discorso cadde su “Il pianista” di Polansky, ricordate?, tratto dal romanzo autobiografico di Władysław Szpilman, l’occupazione di Varsavia da parte delle truppe tedesche che avevano invaso la Polonia, la vita e la sopravvivenza nel ghetto… Il commento laconico della figlia di un conoscente, forse neppure trentenne: “Il solito film sugli Ebrei”.
    Che tristezza, che confusione… Ha ragione Natalino Piras. Anche solo le poche ore di durata della visita nei blocchi e al campo di Birkenau servono a smontare gli inganni che si nascondono in una domanda possibile: chi non sa di Auschwitz? E invece, scopriamo di essere un mare di superficialità e ignoranza, e c’è chi forse neppure vuole sapere. Semmai dovessi rincontrarla, quella ragazza, le regalerò questa sonata di viaggio, “Il dio che sta ad Auschwitz”. Un breviario sul dovere della memoria. L’invito a fare esperienza diretta della conoscenza virtuale che pure tutti, anche se a volte così fragile, abbiamo.
    Ancora un pensiero, appuntato dal libro, oggi che anche Auschwitz deve fare i conti con il flusso del turismo, e si può essere viaggiatori qualsiasi… “ma come tanti nella moltitudine -scrive Piras- sono unico se riesco a vedere e a tramandare, e parlare e scrivere dell’assenza di Dio ad Auschwitz. Chiedersi perché. E’ un atto di Resistenza”.
    E’ vero. E se Resistenza è un nome che a volte sembra, anche questo, farsi evanescente, è pure possibile restituirgli piena significanza, affollandolo di instancabili perché. Guardandosi dentro, guardandosi intorno… scrivendo ogni giorno, quando l’odio assoluto cancella l’uomo, pagine di Resistenza contro la follia…

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