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    Vassoi, venditori e sirene

    Dall’appuntamento di Remo Contro con Gatto randagio…. A proposito di migranti… L’altro giorno, in spiaggia, la spiaggia libera di Castel Porziano, bellissimo spazio pubblico che l’essere a ridosso della riserva della presidenza della repubblica ha salvato dalla morte “da stabilimento… Nella libera spiaggia dunque ho comprato da un ragazzo nero un oggetto davvero bello. Sembra un semplice piatto di legno intarsiato, ma gli intarsi si possono sollevare e il piano diventa un vassoio e dentro il vassoio si aprono contenitori, dalla forma di morbide piramidi rovesciate. Quasi una piccola architettura. Ammirevole lavoro d’artigianato…
    Giusto giusto avevo letto (…) da Cronache di ordinario razzismo ( sito che vi invito a consultare anche solo a tratti, così, per avere idea dell’aria che tira…) di tutto il da fare che alcuni comuni di mare e gestori di stabilimenti si sono dati per tenere lontani i venditori, con ordinanze, divieti, arruolamento di vigilantes, contro i “vu’ cumprà in spiaggia”. Mi sembra riguardi soprattutto la Versiglia e la Romagna, almeno di questo ho letto… Insomma una sorta di militarizzazione delle spiagge, come se non bastasse quella del mare e delle frontiere. Lascio a voi valutare se dopo tanto accanimento si è poi davvero così “sicuri”…
    Comunque, incantata dal mio bel vassoio che apro e chiudo, apro e chiudo, come in un gioco di scatole magiche, ho pensato ai punti di vista della questione…
    Primo punto di vista. Quello del vu cumprà. Ne avevo capito qualcosa leggendo tempo fa il diario di Kilap Gueye, partito dal Senegal e approdato su quest’altra riva, in Sardegna. Kilap che si interroga, seduto su una panchina, un angolo appartato sotto un albero che aveva scelto come luogo di meditazione ( e “La panchina” si intitola il libro che quel diario è diventato, che proprio di un diario sommesso ha la voce…). L’Italia che trova non è quella che aveva sognato. Lontanissima, da quella vista alla tivvù, l’Italia diventa per lui una spiaggia, da percorrere, avanti e indietro, avanti e indietro, per cercare di vendere qualcosa e, appena, sopravvivere. Con una domanda nel cuore: che senso hanno avuto i rischi e i pericoli corsi per arrivare fin qui, che senso hanno la tristezza e la solitudine… Un diario davvero fuori dal comune, questo di Kilap Gueye. Un distillato di pensieri, sentimenti e immagini covati sulla sua panchina. A stupirsi, ad esempio, e vergognarsi, di quella strana gente che siamo noi, che senza pudore ci esponiamo al sole seminudi… che è forse la prima cosa che lo colpisce, e ferisce, del suo soggiorno italiano. Ci abbiamo mai pensato? “Più mi avvicino al mondo occidentale, più mi rattrista, più mi rendo conto delle sue insicurezze, della sua ansia, soprattutto delle sue diffidenze…”. Questi e altri pensieri e dubbi, con grande garbo ci offre Gueye, mettendosi e mettendoci in discussione. A margine, quasi quasi fa venire voglia di andare a cercarla una panchina, per quei momenti in cui ci coglie improvvisa la nostalgia di uno spazio di libertà, per interrogarci sul viaggio della nostra vita, perché anche i pensieri possano sciogliersi davvero sinceri e liberi…
    Nitt, nitt moy garaban. L’uomo è il rimedio dell’uomo. E questa frase dal diario di Kilap, regalo di saggezza antica, mi porta al secondo punto di vista. Che è un po’ lo stesso nato dal vassoio con cui continuo a giocare. Lo straniero che arriva e porta i suoi doni. Che non riconosciamo… Come accade in un delizioso racconto di Thomas Theodor Heine, “Lusi”, che vi voglio raccontare. Siamo nella prima metà del secolo scorso…
    Lusi, il cui vero nome era Melusina, era arrivata a fare la domestica in casa di una ricca coppia, proprio il giorno in cui era giunta la notizia della morte in mare del loro unico figlio. Era una domestica davvero invidiabile, Lusi, anche se aveva qualche abitudine un po’ strana, tipo passare il giorno di riposo chiusa in bagno, e portare al collo una collana di perle ( era davvero inopportuno che un domestico portasse un gioiello falso così appariscente!). Per farla breve, quando con la crisi economica le cose iniziano ad andar male per i suoi padroni, Lusi offre la sua collana di perle. Viene prima presa in giro, ma quando poi i padroni videro che le perle erano vere, chiamarono la polizia, che arrivò proprio il giorno che Lusi trascorreva il suo pomeriggio libero nel bagno. E sfondata la porta la videro nella vasca che sorrideva felice… il suo corpo finiva con una lunga coda di pesce. Lusi svelò di essere una sirena, e di avere accolto e amato il figlio dei suoi padroni mentre cadeva nel mare. In punto di morte, raccontò, gli aveva promesso che sarebbe salita sulla terra ad aiutare la sua famiglia. Ma ancora nessuno le credette, venne prelevata dalla vasca da bagno, con tutta la sua bella coda, e arrestata. Non finì in un centro di identificazione ed espulsione. Per sua fortuna riuscì a divincolarsi, saltare oltre il parapetto, e tuffarsi nel fiume, lì vicino. (Per la cronaca, i suoi padroni tennero la collana di perle, la vendettero e furono di nuovo ricchi).
    Guardando dunque il mio bel vassoio intarsiato, sbirciando il mare e pensando a quante sirene non riconosciamo…
    E ritorna una suggestione che mi ha incantato, con un brano della follia di Moha (sì, Moha il folle, Moha il saggio, di Tahar Ben Jelloun). Ecco: “… Ebbene tu, non dimenticarmi, sai. Una sera ce ne andremo, come facevamo una volta, a parlare del mare. Ti ricordi? Parlavamo fino a quando appariva la sirena. Che splendore! Che emozione! A me mancava il fiato, e tu restavi a bocca aperta con la saliva agli angoli delle labbra. Per lo meno avevamo questa gioia e questo potere, unico al mondo, di far uscire le sirene dal mare e di ballare sulla sabbia fino al mattino…”.
    Bèh, pensieri randagi, un po’ bislacchi, ma parlando parlando, vi ho dato una bella scaletta di libri da leggere sotto l’ombrellone…

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